lunedì 31 luglio 2017

Lascienza (tratto da una storia vera)

Dear Prof. Hegsted,

I am pleased to inform you that your paper Dietary fats, Carbohydrates, and Atherosclerotic Vascular Diseases has been accepted for publication in the New England Journal of Medicine. My own comments are appended to the end of this letter. Now that your manuscript has been accepted for publication it will proceed to copy-editing and production...


Non era certo la prima volta che  Mark Hegsted, ordinario di dietologia (traduco così professor of nutrition) presso il prestigioso Dipartimento di dietologia della Scuola di sanità pubblica (da non confondere con la salute pubblica, così come, cari amici giornalisti, l'education non va confusa con l'educazione, perché è istruzione) di Harvard, non era la prima volta, dicevo, che Hegsted riceveva una lettera del genere. Son lettere che, posso assicurarvi io che ne ricevo più o meno tre all'anno, fa sempre piacere ricevere. Diceva Woody Allen che a una certa età (quella alla quale sono riuscito ad arrivare io...) le parole più belle da udire non sono: "ti amo", ma: "è benigno". Questo però vale per voi ignoranti, capre, populisti, e anche un po' nazionalfascioleghisti. Per noi scienziaty le parole più belle sono certamente "has been accepted", soprattutto se chi te le manda è l'editor (che poi sarebbe il curatore) di una rivista prestigiosa come il New England Journal of Medicine (forse la più importante, senz'altro fra le dieci più importanti riviste di medicina, con un impact da capogiro, che oggi quota 72,04), e soprattuttissimo se l'articolo pubblicato è un articolo di rassegna su un tema di grande rilevanza come quello delle malattie cardiovascolari, perché questo garantisce che una fetta molto consistente dei tuoi colleghi sarà praticamente costretta a citarti per almeno tre motivi: il prestigio della rivista, l'attualità del tema, e la praticità di poter far riferimento a una rassegna comparata degli studi precedenti, anziché andarseli a leggere tutti quanti per trarne le conclusioni (fingere di sapere è esercizio che richiede una certa pratica, ma risparmia tanta fatica).

Col senno di poi, possiamo dire che la soddisfazione di Hegsted era ben motivata: l'articolo, infatti, ad oggi ha avuto 110 citazioni (le ultime tre nel 2017!): non moltissime per una rivista di quel settore, ma pur sempre un quarto di quante ne ho ottenute io nella mia laboriosa esistenza (mi riferisco, per la precisione, alle citazioni su Scholar).

Non era la prima volta, disais-je: a 53 anni il nostro Mark la sua carriera l'aveva fatta, e pubblicare aveva pubblicato: altrimenti, capite bene, non sarebbe finito a insegnare in un tempio de Lascienza come Harvard. Di pubblicazioni ne aveva più di 200, dal 1939 in giù.

Guarda caso...

La sua personale guerra al colesterolo Mark l'aveva dichiarata dal Dipartimento di Biochimica dell'Università del Wisconsin a Madison, dove faceva il dottorato, proprio mentre in un'altra parte del mondo qualcuno scatenava un'altra guerra. A questa non ci risulta che Mark abbia partecipato: forse perché un po' troppo segaligno, al limite del cachettico, come ce lo tramandano le foto dell'epoca (il colesterolo, certo, non era un suo problema, il che, se vogliamo, rendeva tanto più generoso il suo impegno nel combatterlo, così strenuamente e disinteressatamente), forse perché, in quanto giovane e brillante scienziato, la sua patria riteneva che egli fosse più utile nelle retrovie che al fronte. E così, il 1942 non l'aveva visto marciare verso Capas dopo la battaglia di Bataan, o abbandonare la Lady Lex al largo del Mar dei Coralli, o ancora sbarcare a Guadalcanal con la II Divisione dei marines...

No, niente di tutto questo: lui, più modestamente, e meno bellicosamente (ma resta da vedere se altrettanto meno letalmente), era sbarcato a Harvard, dopo un anno passato come ricercatore presso una nota società filantropica. Brillante, quindi, doveva certo esserlo, perché se lo erano caricato, nell'ordine, un'istituzione piuttosto attenta ai propri profitti, e un dipartimento altrettanto attento al proprio prestigio.

Non avevano sbagliato.

Scampato allo strepito della contraerea, allo strazio degli ospedali da campo, all'orrore dei campi di prigionia, all'angoscia dei naufragi (se pure nella porzione di canale di Sicilia situata fra il 15° e il 22° parallelo Sud, dove l'ipotermia è un'ipotesi remota - l'acqua, in quei paraggi, è abbastanza stabilmente vicina ai 27° - ma oltre ai cannoni dei cacciatorpedinieri puoi incontrare certe colubrine non meno letali), sottrattosi al pietoso e macabro ufficio di ricomporre le membra dei commilitoni straziati dalle mine o dalla mitraglia, Mark, di essere uno scienziato, lo aveva dimostrato nel modo più insigne in cui uno scienziato dimostra di potersi fregiare di tale titolo: niente meno che con una quazzione, la quazzione di Hegsted, appunto, che recita:

ATC = 2.16 x AS - 1.65 x AP + 6.77 x ID - 0.53

dove ATC è la variazione del colesterolo totale, AS e AP la variazione delle calorie fornite rispettivamente da grassi saturi e polinsaturi (notate il segno meno dei polinsaturi, che poi sarebbero... ecco, sì, bravi: gli omega 3, fra l'altro), e ID è l'assunzione quotidiana (daily intake) di colesterolo.

Non sono esattamente sicuro di aver capito che cosa vi ho detto, però, se volete provare a capirlo da soli, potete cominciare da qui.

Ah, le quazzioni...

Immagino la nostra Nat: sarà stata percorsa da quel fremito, da quell'agnosco veteris vestigia flammae, che un giorno fece maturare in lei l'insano proposito di unirsi a un ingegnere per sempre (à jamais ? Qui peut le dire ?). E immagino anche i nostri treider, scattare come un sol uomo nell'ansia di un livoroso: "questa la sapevo!" E immagino anche il sorriso sornione dei nostri medici (ne abbiamo, ne abbiamo,...) che, unici in questa bella d'erbe famiglia e di lettori, hanno già capito dove voglio andare a parare (e se invece no, forse dovrebbero dedicarsi ad altro...).

Insomma: nel 1967 il nostro Mark aveva già scritto la sua quazzione, che poi sarebbe stata citata in solo 1780 altri studi, ma... non aveva ancora pubblicato nella rivista più importante del suo settore. Questa lettera, capite bene, era il coronamento di una carriera accademica, e quindi, capite altrettanto bene, l'inizio di un altro, altrettanto prestigioso, ma certo più remunerativo, cursus honorum. Questo, Mark, non poteva saperlo: poteva solo presentirlo, così come il poeta di sette anni presentiva violentemente la vela, e io la presento debolmente, da cinquantenne dislipidemico, qui in collina, nell'afa e nella bonaccia... Ma noi, che siamo onniscienti come lo è il romanziere, o semplicemente chi viene dopo, questo cursus possiamo dettagliarlo: consulente del Dipartimento dell'Agricoltura, poi della Commissione sulla Nutrizione e i Bisogni Umani del Senato degli Stati Uniti, per la quale avrebbe redatto il rapporto su Obiettivi dietologici degli Stati Uniti, membro dell'Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti, editor (cioè curatore) di Nutrition Reviews, consulente della FAO e dell'OMS... per citare solo gli incarichi più importanti. Tutto questo, andando a stringere, sulla base di una quazzione e di due saggi principi: "mangiate più frutta", e "being hungry is worse than being fat".

Si riporta che a quest'ultima considerazione Mark arrivasse in tarda età, intorno al 1979.

Che poi i più maliziosi, o i meno colti, di voi, penseranno: "Ma veramente uno può accumulare così tanti incarichi profferendo simili perle di saggezza? A certe vette potrei arrivare anch'io!"

Ma non è mica vero!

Vedete, le cose semplici, nella scienza come nell'arte, non sono mai, e dico mai, banali. Prendete ad esempio miremiremisiredolà. Una bagatella, appunto, ma la potete pronunciare così, oppure, se ce la fate, così. E non ditemi che non sentite la differenza, perché la differenza perfino dei nazionalfascioleghisti come voi la sentono! In effetti l'arte una cosa di bello (o di brutto) ce l'ha: non occorrono doppi cognomi o vibranti blese per attingervi, per sedare (ma non estinguere) la sete natural che mai non sazia. L'arte è democratica, perché è umana. E la scienza, mi direte voi? Bè, qui il discorso è un po' più delicato, e magari poi ci torniamo, ma intanto annotate, for future reference, che la Scienza non è Lascienza (questa, com'è ormai noto, democratica non lo è)...

Comunque, non sta a noi, che non siamo del mestiere, giudicare con arroganza il valore scientifico del nostro Mark. Il riconoscimento, fino a prova contraria, se l'era meritato: d'altra parte, a certificarlo c'era o non c'era la #pirreviù (per chi non ha ancora capito cosa sia e quanto valga - ma lo capirà presto - specifico che mi riferisco alla peer review)? E questa pubblicazione, per dirla tutta, era il compimento, la Vollendung (direbbe il nostro Celso) di due anni di strenuo lavoro, a partire da quando, il 13 luglio 1965, era stato approvato il Progetto 226.

Cos'era il Progetto 226? E chi l'aveva approvato? E qual era il suo obiettivo?

Mamma mia, quanto siete curiosi! Tranquilli, vi dico tutto. Ma il ritmo lo decido io. E siccome questa è una Toccata (e chi sto per toccare lo avete capito anche voi), vi ricordo che, come noi tecnici sappiamo, li cominciamenti delle toccate siano fatte adagio et arpeggiando... Quindi: adagio.

E arpeggiando.

(...incubo: incombono su di me tre pirreviù da fare. Come dice il proverbio? Paper non pubblicare, peer review non avere...)

Comunque, Mark questa soddisfazione se l'era proprio meritata.

Eppure...

Eppure...

Eppure non era solo un sentimento di legittimo orgoglio per l'ambito traguardo a pervaderlo mentre percorreva il corridoio del dipartimento verso la stanza del direttore, Fredrick Stare, suo coautore, per informarlo del lieto evento. Bel tipo, quello Stare, del resto... Anche lui un pozzo di saggezza: "il segreto di una buona salute sono prudenza e moderazione". Il che, peraltro, mi impone una breve digressione per mostrarvi la cartina al tornasole delle grandi frasi che non dicono un cazzo: basta rovesciarle nel loro contrario, dicendo ad esempio che imprudenza e intemperanza possono rovinare la salute... Il contrario di una banalità è una banalità: la banalità è lo zero del ragionamento: per qualsiasi numero positivo o negativo la moltiplichi, ti restituisce sempre se stessa, cioè un cazzo di niente. E attenti: la Scienza non ammette banalità. Lascienza... eh, anche qui il discorso si complica, ma non distraetemi, per favore: riprendo il percorso.

Un percorso tortuoso, ma che sarà meno lungo di quanto sembrava lungo a Mark quel corridoio, il corridoio che portava da Fredrick, lo stesso corridoio che in 25 anni aveva usurato percorrendolo in su e in giù. La strada già percorsa, normalmente, sembra più breve (come penso sembrerà più breve a me la strada del Volterraio quando la rifarò di giorno, dopo averla percorsa nel buio pesto una settimana fa...). Però... dipende anche da quante cose ti frullano in capo...

Ci sono pensieri che il tempo lo accorciano, e pensieri che il tempo lo allungano. Il tempo è elastico, e qui l'Arte è arrivata prima de Lascienza, e anche della Scienza.

Certo, c'era quella storia di non aver voluto tener conto degli studi sui trigliceridi, limitandosi a considerare solo il colesterolo come marker del rischio coronarico. In effetti, questo limitava un po' la portata dello studio. Si sapeva, ormai, che anche i trigliceridi erano collegati al rischio coronarico. Pensate un po': perfino il New York Herald Tribune ne aveva parlato, l'11 luglio del 1965... Insomma, ormai #sesapeva. L'articolo pirreviùd era uscito poco prima, a giugno, ma il tema era talmente sentito, data la diffusione dell'infarto coronarico, una vera e propria epidemia contro la quale (ahimè) l'industria farmaceutica non aveva vaccini da proporre, che c'era voluto meno di un mese perché i suoi risultati diventassero di dominio pubblico... Eh, sì, qualche rosicone, magari, avrebbe potuto chiedere su Twitter: "E perché i trigliceridi non li avete considerati?" Ma... un subitaneo bagliore, un sorriso appena accennato increspò il viso di Mark, che si stava incupendo, mentre il corridoio gli si allungava davanti ai passi: Twitter non era ancora stato inventato, e neanche Facebook! I beceri utenti dei social, quelle capre, quei subumani, non avrebbero potuto mettere in discussione Lascienza!

Però...

Però...

Però c'erano anche cose delle quali un utente Twitter, se anche ci fosse stato, non si sarebbe accorto, mentre un collega magari sì. Ad esempio... ad esempio, quella storia dei polinsaturi. Sì, va bene, c'era la famosa quazzione, ma era una sola, un solo studio. L'articolo ne citava anche altri, ma senza riportarne i risultati. In effetti, andandoli a vedere, qualcuno si sarebbe potuto accorgere che non è che fossero così concludenti. Fra l'altro, di studi che dimostrassero un legame fra l'assunzione di grassi e l'aumento del colesterolo non ve ne erano molti, mentre il legame fra saccarosio e trigliceridi, quello, nei dati, c'era. E sarebbe stato meglio che non ci fosse...

Insomma: Mark era preoccupato, e non era il solo.

Anche John lo era.

John chi? Non John Smith: John Hickson, che naturalmente non era questo John Hickson, ma... indovinate un po'!? Bravi: un altro John Hickson! Insomma: un'altra Europa non l'avete potuta avere, ma in compenso potete avere un altro John Hickson. Chi era costui? Un pezzo grosso, il vicepresidente e direttore di ricerca della SRF, la Sugar Research Foundation, una fondazione indipendente come una Banca centrale, fondata nel 1943 per promuovere studi sul ruolo dello zucchero nell'alimentazione. Lo zucchero raffinato, forse lo saprete, non nasce sugli alberi: in natura non c'è, è un prodotto industriale, si estrae, come sapete, dalle canne (non quelle: quelle altre!) e dalle barbabietole, e negli Stati Uniti, per darvi un ordine di grandezza, muove intorno ai 10 miliardi di dollari. Ora, va anche detto che se una cosa in natura non si trova, un motivo ci sarà, e comunque, senza voler per forza essere schiavi di una visione provvidenziale e teleologica del cosmo, bisogna pur riconoscere che se anche noi, come i ditischi, abbiamo raggiunto un nostro ottimo nella pertinace evoluzione della discendenza, traverso generazioni e millenni, come in effetti è stato, c'è da pensare che altrettante generazioni e altrettanti millenni ci occorrano per adattare il nostro corpo a sostanze che le precedenti generazioni e i precedenti millenni nemmeno si sognavano di poter un giorno ingerire.

O no?

Insomma: il nostro smalto (più esattamente, quello dei nostri denti), o il nostro pancreas, si sono venuti configurando in un mondo senza saccarosio, o meglio, senza quantità industriali di saccarosio (perché in natura il saccarosio c'è: è lo zucchero raffinato che non c'è...). Quindi, banalmente, non sopportano grandi quantità di saccarosio, un po' come i nostri polmoni non sopportano grandi quantità di acqua: c'è troppo idrogeno e poco azoto. Magari, fra millanta anni, gli uomini avranno le branchie e nasceranno coi denti incapsulati.

Per ora, però, bisogna fare attenzione...

E Lascienza cosa dice?

Ci arriviamo fra un attimo: non dimentichiamoci che questo è un blog di economia, e ora, se permettete, vorrei parlarvi di preoccupazioni di ordine economico: quelle dei produttori di zucchero. Già nel 1954 il loro presidente, Henry Hass, si era fatto due conti. "L'assunzione di grassi aumenta il rischio di malattie cardiovascolari!", diceva. "#maleichenesa?", si sarebbe potuto rispondere. E la risposta sarebbe stata: "Lo dice Lascienza. E comunque, se nei prossimi anni riuscissimo a ridurre del 20% le calorie provenienti da grassi nella dieta degli americani, e ad aumentare in pari misura quelle provenienti da carboidrati, questo significherebbe aumentare di oltre un terzo il consumo di zucchero, con un migliormento formidabile della salute della popolazione" (with a tremendous improvement in general health).

Dice: "Scusa, moro, ma tu lo zucchero lo vendi. Non sarai mica in conflitto di interessi?"

Fa: "No guarda, veramente lo dice Lascienza".

Dice: "Ah, vabbè...".

Prestigiosi nutrizionisti, fra cui il nostro amico Fredrick (che nel frattempo sta ancora aspettando, ignaro, che Mark lo raggiunga, traversando questo corridoio elastico come i cattivi pensieri...), si erano in effetti prodigati in elogi della "dieta americana". Sarebbe? Tanto zucchero, e tanta Coca Cola. Ora, fra il 1954 e il 1965, nonostante questi buoni propositi, e nonostante l'incremento nel consumo di zucchero, gli infarti, in effetti, erano aumentati. Pensate voi come dovette sentirsi John (Hickson) leggendo il New York Herald Tribune dell'11 luglio 1965, quello che dedicava una pagina intera al legame fra zucchero e attacchi cardiaci.

"Ma porca di quella troia!" deve aver pensato "Già l'anno non sta andando benissimo: il prezzo è tornato a cinque anni fa"

(...sarebbe il puntino rosso nel grafico...)

"Ora ci si mettono anche questi professorini saccenti di università di provincia, come quei buzzurri dell'Iowa che vogliono convincerci che è lo zucchero a far aumentare il colesterolo... Presentando dati... Ma che dati? La medicina non è una scienza. Lascienza dice che sono i grassi saturi a far aumentare il colesterolo, e se nei dati non si vede, chi se ne frega: non mi sembra un buon motivo per non credere a Lascienza. E poi che c'entra lo studio con sedici paesi, e che cosa vuole quello spocchioso britannico, quello Yudkin - nome sospetto, peraltro - con le sue teorie, le teorie di Yudkin? Si fa presto a parlare alla pancia della gente con titoli a effetto: Lascienza è un'altra cosa, non sono certo questi professorini supponenti che cercano notorietà negando l'evidenza: e l'evidenza è che da anni stiamo promuovendo il consumo di zucchero, e gli infarti aumentano: quindi ci vuole più zucchero".

Sounds familiar? Vi ricorda qualcosa?

Insomma, John non era certo il tipo da affogare ne' mocci: due giorni dopo l'uscita dell'articolo nazionalfasciogrillinopopulista sull'Herald Tribune, il 13 luglio, la Sugar Research Foundation aveva già approvato il Progetto 226. Eccolo che torna! Cos'era? Ma, semplice: si trattava di incaricare dei professoroni di un'importante università (sì, Harvard) di fare una bella rassegna critica della letteratura scientifica sui rapporti fra zuccheri, grassi, e infarto.

Ci siamo?

Bene, da qui la strada è tutta in discesa, e fra l'altro i più informati di voi dovrebbero anche sapere dove porta, perché se ne è parlato (a dire il vero poco) anche da noi. Ovviamente i due professoroni incaricati erano Mark e Fredrick, che oltre ad essere direttore di dipartimento a Harvard, era anche, tanto per gradire, membro del comitato scientifico della Sugar Research Foundation. Un medico zuccherista finanziato dagli zuccherai. Cose che in economia, si sa, non potrebbero capitare...

Ed eccoci quindi al dunque: per tornare a bomba, con la consueta epanalessi, vorrei dirvi che il nostro amico Mark aveva ben più di tre motivi per essere soddisfatto. Per l'esattezza, ne aveva 6500 (ai prezzi del 1965), cioè 48900 (ai prezzi del 2016): tanti erano i dollari che i nostri due eroi (Mark e Fredrick) intascarono dalla Sugar Research Foundation per il loro studio indipendente... dalla salute dei cittadini, esattamente come una banca centrale è indipendente dai loro interessi economici (ma non da quelli dei potentati finanziari). Lo studio faceva abbastanza schifo, e fra l'altro anche il conflitto di interessi dei due economisti, pardon, dietologi di regime era piuttosto palese. Visto che ormai avete capito che storia vi sto raccontando, non sarete sorpresi di sapere che, come al solito, come sempre, come ovunque (non solo nella ténebreuse affaire che ci ha qui riunito: sempre, quando qualcuno vuole sfruttare il proprio strapotere economico per opprimere gli altri), tutto era assolutamente noto, ma nessuno fece assolutamente niente.

Nonostante nel 1974 il Bollettino degli allievi della facoltà di medicina di Harvard dettagliasse per filo e per segno i legami di Fredrick Stare con le maggiori industrie alimentari, la parole d'ordine era una sola, categorica e imperativa per tutti: essa già trasvolava e accendeva i cuori dagli Appalachi all'Oceano Indiano: zucchero, e zucchereremo!


(...visto come trasvolava?...)

Mi dispiace avervi annoiato con questa storia così poco attuale... anche se, devo dirvelo, non è una storia di fantasia, come avrete capito, ma il risultato di una ricerca scientifica pubblicato sul Journal of the American Medical Association, che se non è la prima rivista di medicina, è la seconda. Il povero Mark aveva visto il bicchiere mezzo pieno dell'assenza di social media: l'impossibilità di essere sputtanato urbi et orbi in tempo reale per il suo vergognoso, spudorato, criminale conflitto di interessi. Ma, naturalmente, non aveva visto il bicchiere mezzo vuoto: l'assenza di diritto all'oblio, e il fatto che, in mancanza di Internet, le lettere erano di carta, e, come capita a personalità eminenti, consegnate agli archivi. In realtà il bicchiere non c'era proprio, ma insomma ci siamo capiti: oggi, consultando gli archivi, possiamo leggere di come gli articoli sui danni dello zucchero da passare in rassegna, per screditarli scientificamente (e "scientificamente"), venissero inviati al gatto e alla volpe di Harvard direttamente da John Hickson. Insomma: il direttore di dipartimento di Harvard, e uno dei suoi migliori docenti, facevano cioè da bounty killer, da sicari prezzolati, assassinando con argomenti capziosi il lavoro di colleghi che semplicemente avevano ragione, e questo su commissione dell'industria dello zucchero.

Come dice Marion Nestle, sempre sul JAMA, parlando della rilevanza della storia per il dibattito medico corrente (guarda un po', i medici se ne preoccupano, e più concretamente, degli economisti, che pure da imparare avrebbero tanto dalle storie proprie e altrui...): "I documenti non lasciano alcun dubbio sul fatto che l'intento della rassegna finanziata dagli industriali fosse quello di raggiungere una conclusione precostituita. I ricercatori (Ndr: noi diremmo Gliscienziati) sapevano cosa si aspettasse da loro il finanziatore, e glielo fornivano".

Quindi si può semplicemente agghindare una tesi precostituita e superare la mitica pirreviù?

Certo che si può: e come credo abbiate intuito seguendomi, un buon 90% della ricerca riferita all'euro è visibilmente di questo tipo, tant'è che perfino Jacques comincia a seccarsi - e lui ha un buon carattere - dicendo cose che noi sappiamo da tempo: quello dell'euro è un fallimento largamente annunciato.

Servirà ribadirlo?

Non credo.

Nel 1848, ho imparato scrivendovi questa storia, Rudolf Virchow disse una frase sulla quale credo si debba riflettere tutti: "La medicina è una scienza sociale: la politica non è niente altro che medicina su larga scala".

Una frase nella quale vedo due chiavi di lettura: la prima, quella che esprimo in modo più sintetico quando dico (mi avrete sentito dirlo) che la differenza fra i medici e gli economisti è che i primi uccidono al dettaglio e i secondi all'ingrosso. La seconda, più interessante e sottile, temo ci debba portare a una conclusione che forse vi sembrerà radicale, tanto più quanto meno ne sapete di scienza e del mestiere della scienza, ma che credo sia difendibile: ogni scienza è una scienza sociale. Non ci sono molti meno condizionamenti sociali nel modo in cui Euclide affrontava la teoria della visione (ottica, fisica, scienza dura) di quanti ce ne siano nel raccontino che vi ho fatto. Il fatto di essere cosa umana, e quindi sociale, non rende una qualsiasi scienza "meno" scientifica. Ma starei molto, molto attento a considerare Lascienza come un corpus naturale, asetticamente e oggettivamente fondato, esogenamente trasmesso a Gliscienziati, un po' come certe persone immaginano che la ruota ci sia stata portata in dono da simpatici esseri antropomorfi provenienti da Nibiru con un simpatico cappellaccio in testa. In chi parla di Lascienza in questi termini c'è molto Kazzenger, e poca epistemologia. Quindi, per tornare a Jacques, il suo tentativo, più articolato del mio (ha avuto anche più tempo per scriverlo) non credo sortirà migliore effetto del mio. La società ascolta Lascienza che i rapporti di forze le permettono di ascoltare. Quando verrà il nostro momento, ascolterà noi.

In questo senso, effettivamente, Lascienza non è democratica.

Ma chi dice che Lascienza è poco democratica, dovrebbe anche ricordarsi di dire che Lascienza (a differenza della Scienza) è molto puttana, come la storia che vi ho raccontato dimostra! Ogni professione ha i suoi prezzolati, siatene consapevoli. Quanto avete visto qui, un pazzo squilibrato che farneticava contro gli alti sacerdoti della sua professione, e che poi, però, piano piano, si è visto che diceva semplicemente cose che erano nella letteratura scientifica (come era nella letteratura scientifica già all'inizio degli anni '60 il legame fra zucchero e colesterolo, fra zucchero e trigliceridi, fra zucchero e malattie cardiache: insomma, un pezzo di quello che oggi chiamiamo "sindrome metabolica" come se l'avessimo scoperto ieri...), e che venivano riprese dalla stampa internazionale, e che venivano pubblicate nei documenti delle istituzioni multilaterali... ecco: quello che avete visto qui, pensate che sia accaduto solo qui?

Bè, vi ho appena dimostrato il teorema di esistenza e non unicità de Lascienza puttana: dei ricercatori che, per soldi, avvalorano tesi precostituite. Quindi tranquilli: non è successo solo qui, e non è nemmeno successo solo in America con la storia dello zucchero! Succede, è successo, e succederà ogni giorno.

Vi ho documentato che quello che fa della Scienza la Scienza è la sua capacità, nel lungo periodo, di contribuire al progresso dell'umanità anche ritornando sugli studi de Lascienza e inquadrandoli nel loro contesto sociale (cioè politico ed economico). Dagli errori si impara, e ora le riviste di medicina chiedono di dichiarare chi ha finanziato le ricerche che vengono pubblicate. Ovviamente è un palliativo, perché ci sono tanti modi di pagare di nascosto, ma è un primo segnale, un segnale al quale (ad esempio) l'economia non è ancora arrivata in modo sistematico (solo negli ultimi due anni, cioè dopo cinque anni di crisi, mi è capitato che le riviste mi chiedessero di dichiarare miei eventuali conflitti di interesse).

Vorrei anche che non prendeste questa dinamica, che vi ho documentato, come una definizione di Scienza. Attenzione! Come non credo chiediate a un clarinettista di suonarvi BWV 565, spero non chiediate, né accettiate, che qualcuno di diverso da un epistemologo definisca per voi Lascienza (o la Scienza). Cosa sia la Scienza non sta né ai brillanti aziendalisti dal doppio cognome, né ai burbanzosi specialisti di qualche branca medica, né ai pazienti fisici che aspettano i neutrini sotto le montagne, né a nessuno specialista di qualsiasi cosa che non sia il discorso sulla scienza (cioè l'epistemologia) dirlo.

Questo sfugge sempre, ed è bene ricordarlo qui.

Se e quando un epistemologo mi dirà che la Scienza non è democratica, o magari che io non sono uno scienziato perché non so prevedere la data della fine dell'euro, così come un medico non sa prevedere la data della propria morte (a meno che non la decida lui), io dovrò pensare di aver fatto uno sforzo inutile, lascerò perdere, e tornerò in barca a vela. Finché me lo diranno altri, mi fiderò di loro come mi fido di un filosofo che mi consiglia una dieta, o di un ingegnere che mi consiglia un investimento, o di un economista che mi data un fossile, o di un paleontologo che si proponga di curarmi un dente. Essere un "Loscienziato" e occuparsi di ossa non fa certo di questi una persona abilitata a mettermi le mani (o le parole) in bocca!

E così, ogni volta che saranno persone prive di competenze specifiche a riempirsi la bocca di Lascienza, non potrò evitare di farmi traversare la mente da questa icastica sintesi, che riassume in 9 parole (il numero perfetto) questo lungo post: "Sò 20 con la bocca, e 50 con pirreviù...".

Nonostante questo, il mondo va avanti e la verità viene a galla... il che, forse, non depone a suo favore (ma non vorrei aprire qui un altro fronte su un terreno che non rientra nelle mie competenze).

Il rispetto dell'uomo per l'uomo è l'initium sapientiae.

Altro da dirvi non ho.


(...e ora vado a fare, appunto, tre peer review...)

(...grazie Fausto per il tuo affetto che mi sprona e mi commuove, e naturalmente anche per questi preziosi contributi, ai quali io mi limito, col mio mestiere, a dare una vernice accattivante. Si sa, laggente il JAMA non lo leggono, e se lo leggono non lo capischeno, nonostante - o proprio perché - sia anche lui un "top gun", pardon: un "top ten" delle riviste mediche. Un giorno, se il tuo affetto me lo sarò meritato, tu mi presenterai tua madre, e io ti presenterò le mie nonne: tutte diabetiche, e tutte molto attente ad evitare i grassi. Questo gli era stato detto dai tecnici. Il resto è storia, e, nel mio caso, anche seghe...)

(...cercatevi i nomi su Wkipedia: come dice Marion Nestle più autorevolmente di me, la storia ha molto da insegnarci sui dibattiti attuali...)

domenica 30 luglio 2017

La svendita delle analisi cliniche (analisi clinica della svendita)

Egregio professore,


Sono un suo affezionato lettore da almeno 4 anni, le scrivo accodandomi al suo ultimo post "Il mercato (a senso) unico, ovvero la journée des QED: 78, 79, 80" per aggiungere un granellino di sabbia al deserto della devastazione eurista dell'imprenditoria italiana.



Mio padre, primario di analisi cliniche di un ospedale dei castelli romani ormai espoliato di ogni eccellenza e trasformato in cronicario, fondò negli anni '60 un laboratorio di analisi cliniche ed ematologiche a Roma, suddetta piccola impresa ha mantenuto 2  famiglie per circa 50 anni, e quando lui è venuto a mancare 3 anni fa ho deciso io, per quanto non medico e con un altro lavoro, di provare a mantenere quella realtà, un po' per maggiore sicurezza economica in tempi di insicurezza, un po' perché questa impresa dà il pane ad altre persone che senza di essa, non avendo raggiunto gli anni per la pensione e non potendosi facilmente reinventare un lavoro a quasi 60 anni, si troverebbero per strada, e un po' anche per non buttare nell'umido anni di know how e professionalità apprese affiancando un medico di vecchia data e tanta esperienza.



Rinunciando a una certa dose di umiltà ci tengo a dire di essere riuscito fino ad oggi nell'impresa, rinnovando, ottimizzando, ma senza tagliare un centesimo ai miei dipendenti, sempre, però, con una spada di Damocle sulla testa, il famigerato "riordino della rete laboratoriale" che la Regione Lazio persegue da tempo ma che il fratello del commissario Montalbano ha deciso di portare a compimento senza voler più arretrare di un millimetro (parole sue) e di attuarla a partire da gennaio 2018.



In cosa consiste tale riordino?


I laboratori sotto soglia, soglia che aumenta di anno in anno arrivando ormai a 200.000 prestazioni l'anno (soglia che raggiunge circa il 10% dei laboratori laziali), dovranno aderire ad una rete e, almeno stando alle confuse e contraddittorie notizie che arrivano dalla Regione, diventare punti prelievo, ossia centri adibiti solo alla fase pre e post analitica (in soldoni prelievo e refertazione), rinunciando alla fase analitica che andrà al laboratorio accentrante, il che come si evince facilmente renderebbe inutili macchinari e personale, medici, tecnici di laboratorio, biologi che si troverebbero per strada con la meravigliosa opportunità di conoscere la durezza del vivere e poter approfittare di allettanti ferie permanenti.



La giustificazione a questa incomprensibile riforma sarebbe che la Regione vuole avere meno referenti nella contrattualizzazione dei laboratori accreditati (perché non è dato saperlo) ma gli effetti veri sono altri:



Primo: saranno favoriti i mega centri, quei pochi che raggiungono le soglie richieste (ripeto in divenire, aumentano di anno in anno) e che potranno mantenere la fase analitica. Dopo gli alimentari e i ferramenta tocca a noi.



Secondo: la riduzione costante delle tariffe e dei margini e l'insicurezza sul futuro sta spingendo molti laboratori a vendere, casualmente a gruppi stranieri, uno tedesco ed uno austriaco in particolare che ne stanno facendo man bassa a poco prezzo (già il 20% dei laboratori è in mano loro), pratica che mi risulta sia già avvenuta in altre regioni italiane...



Terzo: chi non vuole cedere è spinto a indirizzare l'attività sul privato, stracciando le ricette e cercando di fare lo stesso prezzo in forma privatistica, con l'effetto di ridurre laspesapubblicabrutta da una parte e di abituare il pubblico alla sanità privata dall'altra, con buona pace degli esenti che potranno scegliere tra i tempi biblici della mutua ed i tempi semibiblici di una glicemia mandata al "laboratorio di riferimento" disperso chissà dove sul territorio.



Nota a margine, la Regione afferma che gli istituti finanziari non potranno entrare a far parte delle reti, ma (facepalm) le società dei suddetti colonizzatori austrotedeschi sono in mano ambedue a istituti finanziari inglesi, che non entreranno pertanto nelle reti in effetti, ma direttamente nei laboratori.



Dal canto mio continuerò a lottare ed a rimandare al mittente le lusinghe dei compratori, finché potrò, finché mi resterà un briciolo di speranza che un sussulto di italico orgoglio (fassistaaaaaa) metterà fine a questo scempio, poi si vedrà...



Salutandola e ringraziandola infinitamente per quello che fa (e donando il 5x1000 ad a/simmetrie) le auguro buona continuazione nella sua faticosa lotta.






ps. Se ritenesse opportuno pubblicare la mia testimonianza la prego di omettere il mio nome.


(...lo ritengo opportuno per una somma di motivi. Intanto, perché ci fa capire che, come in un romanzo di Zola del quale non riesco a ricordare il titolo - mi aiutate, voi che siete europei e non europeisti? - la cancrena stia salendo, dall'alluce, verso le gambe, verso il bacino, verso organi più essenziali - hint: nel romanzo credo di ricordare che così morisse la madre del protagonista. Fuor di metafora: l'euro e le regole europee, da strumento per la disciplina dei poveracci, stanno diventando flagello delle classi medie e medio alte. Come sapete, questa dinamica è assolutamente nota alla letteratura economica e una delle sue descrizioni più accurate e incisive è in Keynes: il cambio sopravvalutato è una cancrena, e alla fine non c'è l'amputazione, ma la guerra - che è una specie di amputazione. Dal punto di vista politico, il problema è che in queste classi si annidano ancora residue sacche di consapevolezza e - quindi - di patriottismo. Banalmente, basta aver un po' girato il mondo per capire che vita di merda - con tutto il rispetto, ma sotto ogni profilo: clima, cibo, aria, acqua, ritmi di vita, rapporti interpersonali, paesaggio, architettura... - si fa altrove, e per avere quindi interesse a difendere il nostro stile di vita. La domanda è: queste classi verranno sterminate prima di organizzarsi per reagire? E come aiutarle ad organizzarsi in un mondo che è già fascista, nel senso che il dissenso non può manifestarsi pubblicamente, e che quindi l'opposizione al regime, nella misura in cui voglia strutturarsi, anche semplicemente per contarsi, deve necessariamente essere clandestina? [a proposito: il nostro amico non si chiama né Andrea né Vesalio].

A latere, il contributo è interessante perché ci dimostra quanto pervasiva sia la colonizzazione del nostro territorio. Notate che la morale del racconto in termini di contabilità nazionale è molto semplice: ogni volta che vi andrete a fare le analisi del sangue, dall'Italia uscirà una decina di euro verso Germania o Austria!

Un terzo elemento di interesse risiede nel ruolo di certi amministratori. Ricordo bene una mia ex-collega invitarmi a votare un certo politico del PD perché "lo conosco ed è onestoh!" - stiamo parlando sempre del famoso dipartimento di Caffè, dove nel corso degli anni la componente marxiana e sraffiana, qualora non fosse emigrata altrove, si era spesso appiattita su un certo grillismo di ritorno. Ora, l'onestà nessuno la mette in dubbio, fino a prova contraria - che non mi stupirebbe né mi scandalizzerebbe e non per sfiducia verso la persona o per un mio perverso trasporto verso la corruzione, bensì per la consapevolezza delle oggettive dinamiche di esercizio dell'azione amministrativa: non mi farebbe comunque piacere e non crederei alla sentenza che, secondo la prassi consueta, i nostri media emetterebbero in prima pagina prima del processo... Tuttavia, vorrei ribadire il concetto che il problema dell'onestà in politica non è quello della mazzetta per l'acquisto di siringhe - che è un problema di ordine amministrativo e penale - ma quello politico di quale modello di sviluppo proporre per il territorio amministrato. La contraddizione che questa storia mette in luce mi sembra evidente, ed è trasponibile immediatamente a qualsiasi altro ambito, a partire da quello bancario: i nostri amministratori onestih ci propongono un modello di sviluppo nel quale la retorica della sussidiarietà - portare i servizi il più possibile vicino ai cittadini - si scontra con la prassi della concentrazione monopolistica, spesso proposta come "privatizzazione" - sfruttare reali o presunte economie di scala, col pretesto di perseguire una fantomatica "efficienza", ma con l'unico risultato di creare disoccupazione, deteriorare la qualità dei servizi, e versare all'estero una parte del valore aggiunto creato nel nostro paese. Questa è onestah? Quando la gente se ne renderà conto, temo che vorrà i "disonesti", meglio ancora se fascisti. Non solo l'élite, come ci dimostrano i tanti attacchi al suffragio universale sui media, o l'attacco alla prima parte della Costituzione sferrato da Panebianco, ma anche il popolo anela sempre più spesso a una qualche forma di dittatura: certo non ancora ai livelli ai quali mi dicono ciò accada in Grecia, ma la direzione è indubbiamente quella. Naturalmente élite e popolo hanno in mente due dittature diverse: il processo quindi non sarà pacifico, e ovviamente, per definizione, non sarà democratico.

Poi, fra cinquanta anni, scopriremo quello che è già nella ricerca scientifica, ovvero che non è l'eccesso di democrazia a frenare la crescita, ma l'eccesso di disuguaglianza - contro il quale non mi risulta che nessuna dittatura sia mai stata un toccasana. Se riesco ad abbattere il colesterolo, rischio di esserci ancora, per dirvi sempre la stessa cosa: ve lo avevo detto.

Forse è meglio farsi un panino col lardo di Colonnata...)

(...ah, a proposito, un'osservazione banale: ma se i nostri amministratori sono tutti onestih e democraticy, com'è che chi mi scrive da ministeri, scuole, laboratori di analisi, studi professionali, ecc. mi chiede sempre di preservare il suo anonimato? Fatemi indovinare: forse per paura di ritorsioni? E perché mai dei politici onestih e democraticy dovrebbero vendicarsi di chi esprime il proprio pensiero in modo civile e strutturato?... Ah, già...)

sabato 29 luglio 2017

STX, lebbanche e Leuropa, ovvero la legge del più forte

(...guest post di Charlie Brown...)




Non vi è nulla di particolarmente francese nella STX , una multinazionale delle costruzioni navali di matrice norvegese. Ciò nonostante il Re Sole repubblicano ne ha nazionalizzato l'unità francese adducendo a motivazione interessi strategici nazionali.

In Italia, due banche fondamentali per la salute della seconda area industriale del Paese sono state cedute nummo uno ad una banca privata più grande, la quale ha pure preteso ed ottenuto una cospicua dote pubblica . Una colossale distorsione della concorrenza avvenuta sul filo di lana e dopo un lunghissimo, dannosissimo stallo tra le autorità regolamentari de Leuropa . Il tutto per evitare in Italia il tabù della nazionalizzazione, che invece sarebbe stata la soluzione più logica e meno distorsiva della concorrenza (né si dica che nazionalizzare sarebbe stato come stappare il vaso di Pandora: governo ed analisti dicono in coro che l'operazione veneta è stato "l’happy end per le banche italiane").

Un siparietto, quello di STX, che ha irritato l'orgoglio fascistoide degli italici euristi, ma che a mio avviso ha implicazioni ben più profonde.

Ammettiamo per ipotesi l'esistenza di un interesse strategico gallico per quei cantieri, tale da legittimarne la nazionalizzazione. È evidente che nel caso delle banche italiane vi era un interesse strategico di entità quanto meno pari. Non parliamo poi di Telecom (ex) Italia.

Ne conseguono almeno un paio di dilemmi per gli euristi (italici e non):

Primo dilemma (in fatto):

I) o il PD non è in grado di tutelare gli interessi nazionali (se lo fosse stato, avrebbe nazionalizzato le banche venete)

II) o Leuropa non è in grado di tutelare i propri fondamentali presupposti (il rispetto delle "regole" sovranazionali, e in particolare il divieto di aiuti di stato) e quindi è inutile per piddini invocare "più Europa"

Secondo dilemma (in diritto):

I bis) o gli interessi nazionali strategici superano le regole europee, nel qual caso:
a) si delegittima tutta la filosofia politica del "vincolo esterno" sulla quale si basa il potere delle attuali élite politiche italiane (Cazzaro incluso);
b) il PD è stato di una imperizia criminale nella gestione delle crisi bancaria italiana ed è quindi indegno di gestire tecnicamente l'economia italiana.

II bis) o gli interessi nazionali fondamentali cedono di fronte alle regole europee, nel qual caso il PD si dimostra incapace di garantire – in nome di quelle regole - una parità di trattamento all'Italia all'interno del consesso europeo. E quindi si rivela indegno di esercitare leadership in una Italia parte integrante de Leuropa.

Ancora una volta si dimostra che l'impianto federalista "rules based" de Leuropa è una colossale balla, in quanto Leuropa si regge su una regola sola: la legge del più forte.


Alzi la mano chi ci crede davvero.


(...nell'attesa fiduciosa del primo incauto che "professore, complimenti per il suo post", desidero svolgere una breve considerazione. Certo, in Europa vige la legge del più forte, come ovunque nel mondo. La dabbenaggine piddina, esemplificata da personaggi à la Furfaro, è quella di aver creduto, in base a non si sa quale ragionamento, che il progetto europeo avrebbe fatto di questo lembo di terra emersa una felice eccezione a quelle dinamiche di classe che ovunque nel mondo governano i corpi sociali. Se una simile dimensione irenica e palingenetica fosse stata proposta, che so, da uno scrittore cristiano del quinto secolo, la si sarebbe anche potuta trovare accettabile. Ma che venga proposta da pretesi, o meglio, supposti, eredi di Marx, ecco, questa è cosa che sinceramente fa onco.

Ciò detto, non vorrei che l'ovvia considerazione che nel mondo i ricchi e potenti comandano e i poveri e deboli obbediscono venisse interpretata in termini di una fatalistica accettazione di un nostro destino, più o meno rispondente a un disegno provvidenziale che ci farebbe scontare nostre ipotetiche colpe ataviche. Noi non siamo deboli perché tarati geneticamente o socialmente. Siamo deboli perché siamo stati traditi da una classe politica che ha fatto la scelta ben precisa di adottare il vincolo esterno come strumento di risoluzione dei suoi porci problemi interni. Se Leuropa fosse stata moralizzatrice, Craxi, Andreotti e Forlani le si sarebbero messi di traverso seriamente - cioè prima di essere defenestrati. Non sono gli italiani a essere tarati: è il PD a esserlo, e lo sono tutte quelle parti politiche che accettano l'idea che il popolo italiano non possa e non debba autodeterminarsi. Il primo segno e il primo strumento di questa subalternità è l'euro. Semplicemente svincolandoci da quella gabbia noi potremmo riprendere un percorso di crescita più ordinato, e quindi trattare senza difficoltà da pari a pari coi nostri fratelli europei, avendo recuperato la dimensione corretta per la tutela degli interessi nazionali: quella nazionale. Dimensione che è preclusa se i governi nazionali vengono svuotati dei loro margini di manovra in ambito economico.

Quindi: legge del più forte sia, ma ricordando che i più forti saremmo noi, se la nostra classe dirigente ci mettesse in condizione di esprimere il nostro potenziale: cosa che non sta facendo, nelle grandi come nelle piccole cose, proponendoci ovunque - nella scuola, nelle libere professioni, nella gestione macroeconomica, nei diritti civili - modelli di importazione, alieni alla nostra cultura e quindi ostacolo alle nostre capacità. Il punto è solo e sempre uno: PD DELENDVM EST, e questo non perché ciò sia risolutivo, ma perché sia di esempio. Colpirne - e spazzarne via - uno per educarne uno. Secondo me, poi, bisognerà spazzarne via almeno altri due prima che gli italiani possano essere decentemente rappresentati. Ma aprire troppi fronti è un errore che è sempre costato caro a chi lo ha fatto: oggi il nemico politico è costituito dal monopolio PD con le sue simpatiche segmentazioni del mercato: articolo uno, campo progressista, sinistra italiana, ecc. Questa roba deve scomparire per consentire l'affermazione in Italia di una vera sinistra patriottica e popolare, e quindi di una vera destra patriottica e borghese. Ho detto patriottico? Sì, e non me ne vergogno, perché, sorprendentemente, ha cominciato lui:


Sintesi: #facciamocome l'Angola: cacciamo i colonizzatori e i loro ascari - inclusi i presenti!...)

venerdì 28 luglio 2017

Il mercato (a senso) unico, ovvero la journée des QED: 78, 79, 80.

Senza ombra di dubbio questo venerdì 28 luglio passerà alla storia come una delle giornate più tristi della nostra storia recente, e, quindi, anche del nostro blog. Veder arrivare la catastrofe, cercare, con tutti i propri (deboli) mezzi di rendere consapevoli i miei concittadini del rischio che il paese correva, mi ha riservato nel tempo amare soddisfazioni intellettuali (i QED dei quali è punteggiato il blog: e oggi sono, come vedremo, almeno tre), ma rischia anche di schiacciarmi sotto l'opprimente consapevolezza della mia, della nostra, impotenza. Il mood, insomma, è questo:


e vista retrospettivamente la storia non poteva che finire così. Quante volte vi ho parlato della sensazione inquietante, tetra, che provavo rientrando (in rare circostanze: convegni, firme da mettere in banca...) nella mia vecchia facoltà? Lì una volta era tutto marxismo, o almeno keynesismo. Il dipartimento di Caffè, sapete, quello con la "c" maiuscola, che io conobbi all'esame di Politica Economica, ma col quale non ho avuto la fortuna di studiare. Ecco: ma sarebbe stata una fortuna? Tutti i suoi allievi, senza nessuna eccezione nota, sono invasati dall'euro, il body snatcher, il baccellone che ha infettato la nostra comunità, e questo nonostante il fatto che, come sappiamo grazie a Quarantotto e ai suoi preparatissimi lettori, Caffè fosse lievemente scettico (diciamo così) rispetto al progetto "europeo". Vi ho descritto la mia ansia, il mio orrore nel vedermi venire incontro queste persone, le cui sembianze esteriori, al netto dell'urto del tempo, erano immutate, che potevo riconoscere e chiamare per nome, e che mi riconoscevano e rispondevano al mio saluto, e nel constatare che dentro di loro allignava un'altra forma di vita: letteralmente non erano più loro, la loro personalità, le loro facoltà intellettuali, erano totalmente annichilite dal virus mortale del cosiddetto "europeismo".

Io mi sono salvato forse perché allievo di un docente molto meno noto, molto meno "vocal" nel dibattito politico, ma molto più votato all'analisi dei dati. Mi venne riferito, a suo tempo, un simpatico contenzioso fra lui e il Maestro Caffè sull'opportunità di far arrivare un cavo coassiale (o simile dispositivo) dal centro di calcolo del primo piano all'empireo degli economisti al sesto piano. A quei tempi l'econometria, o chi la insegnava lì, veniva percepita come "de destra". Forse in base a questo motivo, mi si dice che il Maestro non voleva che i dati arrivassero al sesto piano. Questo non toglie nulla alla bontà delle sue argomentazioni, ma dovrebbe farvi capire la mia insofferenza verso i "santini" laici di ogni schieramento (dalla A di Altiero in giù): ogni persona porta in sé un pezzo di verità, e un pezzo di menzogna, e nessuno di noi vede alcuna altra persona nella sua interezza.

Questo, metodologicamente, conviene ricordarselo sempre...

Scusate se parto da qui, e da questi ricordi (magari un po' scomodi per qualcuno di voi). Mi servono per anticiparvi la conclusione di questo post: quanto è successo fra ieri e oggi non cambierà assolutamente niente. Nemmeno la SStoria può esorcizzare gli ultracorpi europeisti prendendo a schiaffoni, come ha fatto ieri, le povere salme che li ospitano. Chi è diventato un pezzo del problema non potrà diventare un pezzo della soluzione: l'europeismo è una malattia irreversibile. Non se ne guarisce, e non c'è vaccino (e se ci fosse non lo renderebbero certo obbligatorio). Per rendersene conto, basta sintetizzare quanto sta succedendo: le stesse persone che hanno teorizzato l'oppportunità di legare le nostre mani con l'euro (secondo la nota metafora di Giavazzi e Pagano), ora che ce le abbiamo legate ben strette dietro la schiena si stupiscono perché chiunque passa ci prende a schiaffi e sputi in faccia (guardate ad esempio il ministro Calenda che parla di dignità e orgoglio nazionale). Ma dico: avete voluto voi metterci in condizioni di subalternità, invocando cessioni di sovranità come unica soluzione politica alla crisi (there is no alternative), e ora che questa sovranità, totalmente ceduta in campo economico, non riusciamo ad applicarla, per difendere i nostri interessi, ve ne stupite?

Ecco: la situazione è chiara, ed è quella prefigurata qui da tempo. Le élite periferiche, come chiarisce tanto bene Featherstone e come ho dettagliato nei miei due libri, volevano l'euro per risolvere il conflitto distributivo a proprio vantaggio, cioè per schiacciare i salari (sappiamo che integrazione monetaria e disintegrazione dei sindacati sono andata avanti pari passu, sappiamo la logica economica che unisce questi due eventi, e sappiamo la logica politica di breve periodo che ha portato la sinistra a benedire questi sviluppi). Nella prima fase dell'euro ha quindi nettamente prevalso la dimensione economica, il tema della distribuzione funzionale del reddito: era capitale contro lavoro, e una cosa che aiuta il capitale a muoversi più agevolmente sul campo di battaglia ovviamente danneggia il lavoro. Ma ora siamo nella fase due, nella quale in tutta evidenza prende il sopravvento il tema del controllo internazionale delle risorse: diventa (anche) Francia contro Italia. Le nostre élite (gente come Calenda, per capirci) si vedono sottrarre le loro fonti di profitto e stanno per accorgersi che l'euro serve anche a schiacciare i loro redditi. Quando decidi di comportarti da élite, per la quale il popolo è un ostacolo, anziché da governante, per il quale il popolo è una risorsa, devi essere consapevole che da qualche parte, nel mondo, c'è sempre qualcuno che è più élite di te.

Smarrite, terrorizzate, wandering confused:


le nostre élite, che, ci tengo a precisare, noi non ci meritiamo e che largamente non abbiamo scelto (come è sufficientemente evidente a tutti), si rivolgono a quel popolo che, ormai, non può più aiutarle, perché sfibrato, reso esangue, dalle politiche omicide che le sullodate élite hanno condotto contro di lui (e quando parlo di popolo non parlo solo di tute blu: parlo anche di imprenditori, di professionisti, di artigiani, di dipendenti pubblici, ecc.).

Ridiventa così di moda l'interesse nazionale, non più demonizzato come "nazionalismo che causa le guerre" (certo, anche le cellule causano i tumori, ma questo non è un buon motivo per distruggerle suicidandosi...), ma valutato positivamente, ora che i nostri fratelli europei lo hanno sdoganato prendendoci a calci nel sedere...

Capitano quindi cose un po' paradossali, come quella su cui ironizzava l'ottimo @stat_wald:


Eh, già...

Perché i giornali di oggi riprendono tutti la chiave di lettura fornita dalla mia intervista di ieri al GR. Quanto ai giornali, vi consiglio, anziché andare in edicola a finanziare la loro poraccitudine, la rassegna stampa dell'ottimo Giuse, e quanto all'intervista, che gli amici della stampa evidentemente hanno sentito, vi fornisco il podcast (al minuto 2:50), e anche, a futura memoria, la trascrizione fatta da uno di voi, che ringrazio:


[...inizio trascrizione...]
GR3 - ...dietro la battaglia per il controllo dei cantieri navali francesi si nascondono gli enormi interessi economici legati anche alle commesse militari. Decine di miliardi di euro come il maxi contratto che si è aggiudicato Fincantieri lo scorso anno per la creazione dal nulla dell'intera marina per il Qatar. Ne parliamo con l'economista Alberto Bagnai.
Bagnai - Abbiamo visto la Francia e la Germania venire in Italia ad acquisire aziende, ma quando imprese italiane si rivolgono all'estero incontrano delle opposizioni. Questo ci fa capire che l'interesse nazionale esiste, significa avere il controllo di attività strategiche, significa proteggere i livelli occupazionali e la seconda cosa è che l'interesse nazionale si difende al livello nazionale. Noi stiamo parlando di governo italiano e governo francese, l'Europa dov'è in tutto questo?

GR3 - Perchè agli occhi della Francia i coreani sarebbero meglio degli italiani?
Bagnai -Probabilmente perchè sono più distanti e in questo momento la Francia sta facendo una politica neocoloniale, il caso della Libia ne è un esempio, a fronte di questo l'Italia è un avversario diretto, per cui io credo che anche a parità di validità economica dell'offerta ci sia un interesse politico del governo francese a, per così dire, mettere sotto l'Italia in queste circostanze.

GR3 - L'Italia è solo debole o ha anche sbagliato qualcosa?
Bagnai - Credo che una parte dell'errore sia stato quello di non voler riconoscere l'interesse nazionale come categoria degna di essere tutelata. Questo fa parte di una adesione al progetto europeo che gli italiani hanno dato, rispettandone anche le regole più degli altri: però dobbiamo renderci conto che alcuni dei nostri partners sono sleali.
[...fine trascrizione...]


Ormai la storia ha accelerato talmente tanto che i QED, e i risposizionamenti del mainstream, sono fulminei, a meno di 24 ore. Nell'elencarvi i tre QED di lungo corso, cui accenno nel titolo, vorrei riportarvi due frasi che si sono perse negli inevitabili tagli editoriali. Nota: non sto dicendo "tagli censura noi siamo laggente i poteri forti ci temono1!11!1111!". Tutt'altro. Le due frasi che mi piace consegnarvi, perché sono sufficientemente icastiche e organicamente legate ai QED, avevano una connotazione polemica che, in quel contesto, avrebbe reso meno efficace il mio messaggio, allungandolo e privandomi della veste di "tecnico imparziale": una figura che noi sappiamo essere chimerica, ma che, forse proprio per questo, è elemento strutturale del racconto fattoci dai media. Con l'occasione quindi ringrazio come sempre Anna Trebbi, che con Americo Mancini è una dei due giornalisti del Gr1 che mi contattano, e che fanno un ottimo lavoro.

 (...nota: vi giro anche i complimenti che mi fanno perché io "parlo a blocchi", rendendo facile il loro lavoro. Il fatto è che siccome sono un musicista musicale, le mie frasi hanno direzione - il fraseggio è un mio strumento di lavoro - e quindi diventa facile "editarle" senza che i necessari tagli redazionali siano apparenti. Farete caso che certe altre interviste, anche di persone "mainstream", sembrano il vestito di Arlecchino. Sono ovviamente tagliate anche loro - per cui non c'entra assolutamente nulla l'ideologia - e spesso si sente - per colpa di chi parla senza capo né coda, non solo dal punto di vista logico ma anche dal punto di vista prosodico...)

La prima fase era nella prima risposta, ed è questa: "abbiamo capito che il mercato unico è in realtà un mercato a senso unico. Noi abbiamo ceduto a capitalisti esteri molte nostre aziende, ma appena ci affacciamo sui mercati esteri incontriamo forti opposizioni". Eh già, è proprio così, e questa non è una novità, ma anzi il primo dei tre QED, il QED78, che ci rinvia a un post vecchio di quattro anni, e che meriterebbe di essere aggiornato, se il farlo non fosse troppo doloroso: Smoke sales. Il titolo alludeva a quegli economisti venditori di fumo che in un estremo tentativo di difendere l'euro "da sinistra" (per evitare di ammettere di aver difeso un sistema contrario agli interessi dei lavoratori) argomentavano che "in caso di uscita" la svalutazione avrebbe reso il prezzo delle nostre aziende più allettante per i capitalisti esteri, che ne avrebbero fatto incetta.

Vale qui il:

Teorema fondamentale dell'uscita dall'euro: tutto quello che un economista dilettante o ideologicamente condizionato dice che accadrebbe in caso di uscita dall'euro, è già accaduto, sta accadendo, o accadrà difendendo l'euro.

Lo dimostra quanto è accaduto fra ieri e oggi, ovvero, prima l'affronto su STX, e poi, a ruota, l'autorevole risposta del governo italiano:


sarcasticamente annunciata da un ottimo Guido Crosetto. Il QED78 altro non è che un corollario di questo teorema: mentre la spoliazione delle nostre aziende continua (ultima Telecom Italia, una realtà non trascurabile!), noi troviamo continui ostacoli all'estero, e anche questa non è una novità. Simone Previti ci ricordò, quattro anni fa, la vicenda di Enel e Suez (la relativa pagina di Wikipedia andrà evidentemente aggiornata).

Il primo QED quindi va a dimostrare un dato di fatto economico che da sempre abbiamo portato all'attenzione: ciò che rende aggredibili le aziende non è il loro "prezzo" tout court, eventualmente scontato dalla mitica svalutazzzzzzione (altrimenti quando l'euro si è svalutato del 30% rispetto al dollaro fra il 2014 e il 2015 tutte le aziende italiane sarebbero dovute passare in mano americana!), ma i rapporti di forza fra paesi, un pezzo dei quali è dato dalla prosperità economica. Se tralasciamo il caso di queste vicende fra colossi economici, e ci soffermiamo sull'immensa ricchezza costituita dai marchi del Made in Italy nella fascia delle piccole e medie imprese di ogni settore, vediamo che quanto spinge i proprietari a vendere obtorto collo è il fatto che a causa dell'euro i loro fatturati e i loro margini si sono compressi, per cui l'arrivo del fondo del Qatar o cinese che ti propone di rilevare l'azienda viene visto come la fine di un'agonia. Inutile dire che così occupazione e know how vanno dispersi e distrutti. Ma il punto è semplice: se una moneta sopravvalutata soffoca la crescita dei redditi, come affermano e dimostrano economisti certo meno autorevoli (!) di certi nostri Soloni nostrani, chi questi redditi li percepisce come profitti alla fine è tentato di vendere tutto e andarsene.

La seconda frase era nella terza risposta, che continuava così: "...dobbiamo renderci conto che alcuni dei nostri partners sono sleali, e concepiscono l'Europa non come una Unione, ma come un'autostrada per i loro interessi". Anche questo è sostanzialmente un QED, il QED79, di un altro post, quello sulle Sinistre Subalterne (le SS che stanno facendo strage dei nostri resistenti: imprenditori e lavoratori). Vi parlavo, guarda caso, del calendismo, la strana ideologia della sinistra di governo che vuole cambiare le regole rispettandole, ignorando il più ovvio principio negoziale, consegnato all'eternità dalla saggezza popolare: chi si fa pecora il lupo se lo mangia. Inutile che Calenda piagnucoli oggi di orgoglio e dignità nazionale. Non è credibile perché lui per primo ha calpestato questo orgoglio e irrimediabilmente vulnerato la nostra dignità affermando che il nostro paese dovesse rispettare regole irrazionali per meritare l'altrui fiducia. In questo modo, senza rendersene conto, ha dato dei cialtroni a 60 milioni di suoi concittadini, trattandoli come tarati che sono costretti perennemente a dimostrare, a costo di immani e soprattutto irrazionali sacrifici (i salvataggi che non ci salvano), di avere pari dignità. Ma se i nostri stessi governanti ci dicono che dobbiamo punire noi stessi per dimostrare di averla, questa pari dignità, ciò indica chiaramente che i primi a non crederci, in questa pari dignità, sono loro (o comunque indica che stanno continuando il loro giochetto di usare un ricatto morale insensato per portare avanti politiche classiste).

Ora, qualcuno dei nostri gazzettieri sta parlando di questo? Qualcuno vi ha detto che Politico.eu, organo dell'ortodossia eurista, parla apertamente di Germania disonesta, cosa che qui facciano, argomentando molto meglio, da anni?

Perché quello che i nostri Calenda non sanno, o non vogliono sapere, è che la violazione da parte della Germania della regole del 3%, ben prima dell'Italia, è stata una colossale violazione delle regole sulla concorrenza, un colossale sussidio dato all'industria tedesca sotto forma di spesa pubblica sociale, che ha consentito a questa industria di abbattere il costo del lavoro fottendo tutti i partner europei (Francia inclusa). Queste sono le famose "riforme" la cui omissione da parte nostra costituirebbe, nella mitopoiesi piddina, il fondamento della nostra inferiorità morale.

I nostri governanti, cioè, ci dicono che siamo creature inferiori (salvo poi contare sulla nostra solidarietà quando rientrano in patria tramortiti dagli schiaffoni) perché il nostro paese non ha aggredito slealmente i propri partner facendo dumping sociale: quel dumping il cui ruolo nella genesi della crisi è ormai ammesso perfino dai consiglieri della Merkel (da due anni)!

Ecco. Io non credo che sia solo per cattiveria. Credo, e anzi so, e con qualche prova in più di Pasolini, che ci sia molta ignoranza nella subalternità psicologica dei nostri governanti. So che è (in parte anche) perché non capiscono nulla di economia, non hanno accesso ad analisi spassionate e tecnicamente valide (conoscete la corte dei miracoli che li circonda), che loro ritengono di dover partire dal presupposto negozialmente perdente della nostra (e quindi loro) inferiorità.

Ovviamente, questo ci riduce nella condizione in cui siamo: quella in cui sono persone di estrema destra a dire cose di estremo buonsenso:



(...p.s.: la BNL non c'è più, è BNP da tempo, ma non escludo che l'errore sia intenzionale, volto a ricordare due concetti che il precedente nome dell'istituto affiancava e che le sinistre subalterne hanno umiliato di pari passo: nazione e lavoro. Tralascio anche di valutare le technicalities di una "uscita immediata": il punto qui non è tecnico ma politico, e sul punto politico ha ragione Di Stefano - e presto il PD dovrà rincorrerlo su questo tema, anzi: lo sta già facendo. C'era ampio margine per evitare che la verità diventasse monopolio di una parte politica, e io ho fatto il possibile...).

Questo è il fallimento dell'altra sinistra, la sinistra "maiconista", quella che ha demonizzato l'interesse nazionale senza capire che, per un mero fatto aritmetico, fare l'interesse di un paese (se ci si riesce) è per definizione fare l'interesse della maggioranza dei suoi abitanti, che, mai come oggi, dopo quarant'anni di globalizzazione finanziaria, sono i più poveri e i meno tutelati.

Sinistra "calendista" e sinistra "maiconista" non si solleveranno dal peso storico di questa colpa. Sapete tutto: non torno su questo discorso. La loro unica possibilità per ritardare il loro sfacelo, inevitabile e ormai, ahimè, auspicabile, è ricorrere alla censura, come sapete. Non a caso oggi sono "sciadobannato" su Twitter: ho toccato la terza carica dello Stato, e la reazione non si è fatta attendere (ci ho riso sopra, considerando che mentre me ne accorgevo il cellulare squillava per l'intervista al Gr1). Fatele, cari, fatele le leggi liberticide: qualcuno sarà lieto di applicarle quando ve ne sarete andati! Fosse la prima volta che questi Paperoga della politica scavano il trabocchetto nel quale poi finiscono! Ma anche questo l'ho già detto, inutile tornarci sopra.

E veniamo al terzo QED, il QED80, anch'esso legato a una frase incidentalmente tagliata dall'intervista. Sempre nel terzo blocco, parlando della nostra adesione al progetto europeo, chiedevo: "dov'è l'Europa in tutto questo?". Insomma, ponevo la domanda (superflua) la cui risposta è stata plasticamente rappresentata da @stat_wald alludendo alla terza sconfitta italiana nel giro di due giorni:


L'Europa non ha fatto nulla, cioè nulla, per evitare che il mercato fosse a senso unico. Non l'ha mai fatto, del resto. Sappiamo che non solo la Francia, ma anche la Germania, e non da ieri, ha adottato un atteggiamento protezionista. Loro possono e noi no. Perché? Perché abbiamo aderito all'idea sbagliata che l'Europa fosse il forum cui affidare la mediazione dei nostri interessi nazionali. La Caporetto di questi ultimi due giorni è quindi l'ultimo QED, il QED80, quello del post Interesse nazionale e mediazione politica: dicevo, in quel post, che gli interessi nazionali si difendono a livello nazionale, e questo per motivi contingenti e strutturali. Non è solo una raccomandazione: è anche, come credo vediate, un dato di fatto. I due leader europei, uno dai piedi di argilla e con l'atomica (e non è buona cosa che un simile giocattolo ce l'abbia in mano un paese traballante), l'altro strutturalmente più forte, ma fragilizzato dal proprio desiderio assurdo di egemonia (quello sì responsabile di guerre...), non hanno mai rinunciato a ragionare in termini di loro interessi nazionali.

Noi sì.

Anche questo ci ha portato alla sconfitta. Abbiamo messo il fiore dell'europeismo (la cannabis di Spinelli) nei nostri cannoni, e simpaticamente strafatti di questa droga pesante siamo andati incontro a un nemico lucido, che, senza tema di apparire retrogrado, le proprie armi le aveva caricate a piombo.

Il risultato è ora sotto gli occhi di tutti.

Cambierà qualcosa?

Ripeto: non credo. I danni fatti da questa ideologia disfunzionale, da decenni (anzi: secoli) di disprezzo dei nostri governanti verso di noi (fomentati da una stampa spesso asservita a interessi esteri), non si riparano facilmente. Dovrà andare molto peggio, prima che possa andare meglio, e se leggete bene questo post capite chiaramente cosa intendo. Il capitale italiano è lui stesso ormai convinto che la sospensione della democrazia sia auspicabile. Voi state (tutti) banalizzando la storia della censura come sette anni fa banalizzavate quella dell'euro. Vi dovrete ricredere, e in questo humus non potrà esserci che un vincitore.

Non sarà l'Italia.

Dixi.

Si apra la discussione, una discussione più che mai sul nulla: le cose stanno così e andranno così. L'unica cosa che ha senso discutere è cosa fare dopo. Ma io ora vado in spiaggia a scrivere un paper per una rivista di classe A. Sto cercando lavoro...




(...ah, naturalmente voi che siete europei, non europeisti, avrete capito che il titolo allude a queste due giornate. Presto qui arriveranno europeisti, quindi dobbiamo essere pronti a venirgli incontro fornendo loro ciò che loro sommamente manca: #lebbasi della cultura europea. Se le avessero, amerebbero questo lembo di terra e si rifiuterebbero di consegnarlo a un progetto classista oltre i limiti del criminale...)