domenica 31 maggio 2015

Il vincolo esterno (KPD9)

(...benvenuti alla nona lezione del ciclo "Keynesianesimo Per le Dame": oggi parleremo di robba postkeynesiana buonisssssima...)




Sappiamo che uno dei pretesi vantaggi dell’unione monetaria era, nelle intenzioni dei suoi proponenti, quello di rimuovere sostanzialmente il vincolo esterno per i paesi partecipanti (lo abbiamo visto, ad esempio, anche qui, nel paragrafo “and the winner is...”).

Ma sappiamo anche cos’è il vincolo esterno?

Mi riferisco qui non al vincolo inteso nella sua political economy, come ce lo descrive Featherstone, cioè al modo in cui le varie élite europee usarono il vincolo dell’appartenenza alla moneta unica per regolare i conti in casa propria. Presupposto di questo ragionamento è che si comprenda cosa sia il vincolo esterno nel suo semplice ma inesorabile aspetto economico e contabile, ed è a questo che qui mi riferisco.

Questa semplice nozione sfugge ai più. Me ne sono accorto assistendo al seminario di Giorgio Rodano per la presentazione di un suo lavoro, del quale vi parlavo tempo addietro, e del quale vi devo una peer review. Sconcerta come Rodano ignori la natura del vincolo esterno (guardate il punto iv a pagina 7 del suo lavoro). Mi ha allietato molto, date le premesse, il tono patronizing col quale mi si è rivolto durante la discussione, quello dello “scienziato” che parla all’“economista da talk show”, profferendo un apodittico: “Dai, Alberto, lo sai che nella moneta unica il vincolo esterno non c’è”. Una affermazione doppiamente fuori luogo (e non mi riferisco al tono). In effetti, oggi l’idea un po’ bislacca che il mondo sia un free lunch, o possa essere reso tale con un particolare arrangiamento monetario, è coltivata ormai solo da Rodano e dai memmetari.

Rodano crede ancora che in una unione monetaria questo vincolo non ci sia, quando perfino chi aveva messo in gioco su questa affermazione azzardata il destino di un continente ha fatto (prudentemente) abiura (sempre in base al solito principio “what have we learned from the crisis”, atteggiamento che mi fa un po’ girare le palle, perché se questi emeriti colleghi avevano bisogno di veder tanti morti per capire certe cose forse non erano così emeriti, o per lo meno non così colleghi).

I memmetari non ho capito bene cosa credano: parlano di un mondo che dopo il Nixon shock (la decisione presa da Nixon nel 1971 di sospendere la convertibilità del dollaro in oro) è a moneta fiat e quindi... Il ragionamento, lo capite, già parte male: il corso forzoso (cioè quello che loro chiamano moneta fiat per ignoranza della lingua italiana – ma a noi piace ricordarli così, come un americano a Roma...) c’era anche nel XIX secolo (e pure prima), il Nixon shock non è quindi un particolare snodo epocale (che il dollaro non fosse di fatto convertibile lo si sapeva da anni), e comunque cosa vorrebbe dimostrare questo ragionamento? Che se non paghi in oro o in altra moneta merce non sei vincolato? Bè, allora accomodatevi: stampatevi i vostri greenback e andate da Auchan: vediamo che vi dicono...

Comunque, siccome tanti personaggi, autorevoli (come Rodano) e non, continuano a parlare di vincolo esterno in modo sfuocato, mi viene il dubbio che forse anche voi possiate non avere le idee chiare. Se è così, mi avrete seguito fin qui sulla fiducia, guidati dal ritmo della prosa, ma senza capire una beneamata fava, cosa che suppongo accada spesso (se non accadesse, cioè se acquisiste una conoscenza intima e vissuta di quanto qui si spiega, forse subireste meno frustrazioni). Oggi purtroppo è giornata di post tecnico, quindi preparatevi. All’inizio fa un po’ male, ma poi ci si abitua, e, fatto lo sforzo, si crepa dalle risate quando si sentono certe affermazioni dei latecomers nel dibattito. Preciso che questo essendo appunto un post tecnico, fa riferimento a post precedenti, e se siete arrivati da poco vi consiglio di seguire (e leggervi) tutti i link ai quali il post fa riferimento. L’ipertestualità c’è: usiamola. Non è possibile portare avanti il discorso se ogni volta devo spiegare cos’è il PIL.

Il vincolo esterno
Mi stupisce che il concetto di vincolo esterno sia così difficile da capire, perché ognuno di noi ha un vincolo esterno. Non possiamo spendere se prima non guadagniamo, o non ci facciamo prestare dei soldi. Il vincolo esterno è questo: l’impossibilità di produrre da noi mezzi di pagamento che vengano generalmente accettati (possiamo provarci, ma è reato), da cui consegue la necessità di acquisire risorse finanziarie vendendo qualcosa (ad esempio, il nostro lavoro), se poi vogliamo acquistare qualcosa per campare.

Possiamo, certo, ricorrere al credito, cioè al debito: ma nel lungo periodo i debiti vanno comunque ripagati, ed è quindi buona norma cercare di ricorrere al credito a ragion veduta, ovvero se si ha una ragionevole certezza di produrre in futuro redditi sufficienti. Non è una cosa così complicata da capire.
Quello che vale per ognuno di noi nel suo mercato di riferimento, vale anche per l’insieme di tutti noi, cioè per la nazione, nel suo mercato di riferimento, che sono i mercati internazionali.

Un paese che non possieda tutte le risorse delle quali ha necessità (comprese le risorse umane), e che non produca un mezzo di liquidità internazionale di generale accettazione (in sintesi: un paese che non possa stampare dollari americani, cioè che non sia gli USA), deve esportare.

“Come esportare? Ma se non ha le risorse dovrà importarle! Bagnai, a forza di fare post politici ti sei arrugginito.”

No, caro lettore, io sono sempre cromato: sei tu, come altri menzionati qua sopra, a non capire. Certo, le risorse vanno importate. Ma con cosa le paghi se prima non hai esportato?

Esempio: il petrolio si paga in dollari, siamo d’accordo? Ma i dollari non li stampiamo noi, né come stato né tanto meno come singoli. Come possiamo procurarceli? Come se li procura l’importatore? Esportando. Lui? No, non è necessario che sia proprio chi vuole importare ad esportare! Basta però che il paese nell’aggregato esporti abbastanza. Esportando il nostro paese acquisisce, direttamente o indirettamente, valuta estera. Il caso di scuola è quello in cui l’esportatore (nazionale) viene pagato in valuta estera (dollari). Se vuole pagare i suoi operai e i suoi fornitori nazionali, deve evidentemente cedere i dollari alla banca centrale in cambio di valuta nazionale. Se invece deve pagare dei fornitori esteri, cioè importare, ecco che ha già il dollaretto pronto: ma normalmente chi esporta poi spende qualcosa sul mercato nazionale, e quindi necessariamente deve cedere la valuta estera che ha ottenuto, per ottenere in cambio della valuta nazionale.

Di converso, quando dico che per acquistare una Audi una volta si dovevano acquistare marchi, qualche (finto?) tonto non capisce e: “Ma come, Bagnai! Io la mia Audi la pagai in lire, ma cosa dici, buffone, economista da strapazzo, non è vero che l’acquisto di un’auto tedesca comportasse l’acquisto di valuta tedesca, la quale quindi, essendo richiesta, si apprezzava, tenendo fisiologicamente sotto controllo il surplus strutturale tedesco”. Eh, i tonti hanno un enorme problema: se stessi. Il mondo comincia e finisce con loro. Si saranno mai chiesti come facesse il signor Audi a pagare i suoi operai in Germania, se le sue macchine venivano pagate in lirette? Certo l’operaio tedesco la liretta non l’avrebbe voluta, primo perché secondo gli imbecilli faceva schifo, e secondo, per un motivo più serio: in Germania non circolava, e quindi non sarebbe stato possibile per l’operaio o il fornitore tedesco né accettarla né, se l’avesse accettata, spenderla! E allora? E allora quello che il tonto non sa è che le lire che lui dava al concessionario venivano convertite in marchi dal signor Audi (e infatti il prezzo della macchina tedesca teneva anche conto di quanto il marco costasse in lire). Il marco, materialmente, lo comprava l’esportatore tedesco (per pagare i suoi virtuosi operai): ma la domanda di marchi da lui espressa sul mercato valutario traeva origine dal nostro amico tonto e dal suo desiderio (legittimo) di avere un Audi.

È chiaro? È così strano? Voi veramente pensavate che gli operai tedeschi venissero pagati in lire? E allora perché gli operai italiani non venivano pagati in franchi francesi, o magari in pesetas? Lo capite, no, che c’è un mercato dei cambi, giusto?

Oh, attenzione! Non sto dicendo che ogni calzaturiere marchigiano, ogni carpentiere lombardo, ogni tessitore toscano, dopo aver esportato qualcosa, si metta a cavallo di un asinello con il suo cestino di dollari e vada a fare la coda di fronte all’ufficio di Ignazione nostro a palazzo Koch per farsi dare gli euro. Questo causerebbe enormi problemi al traffico romano, con via Nazionale perennemente bloccata, e non è necessario: è evidente che queste transazioni sono mediate dal sistema bancario. Che è poi quel sistema al quale si rivolgerà l’importatore quando vuole il dollaretto per comprare il petroliuccio (ma anche la bentonite, per dire, visto che a Ponza è finita). Il punto però è che al sistema bancario italiano (e in definitiva alla banca centrale, nelle sue riserve valutarie) la valuta estera deve arrivare in qualche modo. Quando finisce, il paese non ha più i mezzi per importare.

Prova ne sia, cari amici, che le riserve ufficiali di un paese si misurano, oltre che in dollari, anche in mesi di importazioni, come potrete constatare sul sito dei World Development Indicators. Come si fa il calcolo? Ma è semplice: vedi qual è il flusso medio di importazioni che un paese sostiene per tirare avanti, e quante sono le riserve che ha in cassa. Se le importazioni medie sono 20 milioni di dollari e le riserve valutarie sono 40 milioni di dollari, il paese ha 40/20=2 mesi di importazioni coperti, ovvero: se anche non esportasse più nulla (acquisendo così altra valuta pregiata) potrebbe comunque tirare avanti per altri due mesi pagando cash. Poi, ovviamente, per tirare avanti, se non ricomincia a esportare può sempre far debiti, certo. Ma non per sempre. Tanto per, date un po’ un’occhiata a quanti mesi di importazioni ha la Grecia. E la Cina? Eh, sì, la Cina sta messa un pochino meglio. Ma c’è anche chi sta peggio, tipo il Sudan.

Bella l’economia vera, eh, spiegata dai professionisti, ve’? Quante cose interessanti si imparano o si ripassano. Abbiamo appena imparato che se non vuole fare debiti esteri, un paese è opportuno che abbia i conti esteri bilanciati. Più esattamente, è opportuno che sia in sostanziale equilibrio di lungo periodo il saldo delle partite correnti, cioè la differenza fra esportazioni di merci e servizi e redditi e trasferimenti attivi da un lato, e importazioni di merci e servizi e redditi e trasferimenti passivi dall’altro. Lo abbiamo descritto in dettaglio qui, se interessa.

Formalizziamo
Oggi dobbiamo essere tecnici, quindi passiamo a un modello, semplice semplice, che ci aiuterà a fissare le idee sul ruolo del vincolo esterno. Nel suo articolo del 1979 sul vincolo esterno come determinante dei differenziali di crescita fra paesi, Tony Thirlwall parte da una relazione estremamente semplice. Se chiamiamo X le esportazioni, e M le importazioni, di fatto un paese nel lungo periodo avrà una situazione finanziariamente sostenibile, cioè non accumulerà debito estero insostenibile, se:

X = M

(cioè se il saldo commerciale, preso come proxy del saldo delle partite correnti, è in media bilanciato nel lungo periodo).

Possiamo considerare questa condizione la traduzione formale del vincolo esterno. Aggiungo subito tre cose:

1) noterete che in questa relazione quale sia la moneta di riferimento, se sia unica, a cambio fisso, a cambio flessibile, merce, a corso forzoso, ecc., non rileva. Anche in un’economia di baratto, per dire, se vuoi un cammello devi dare tre donne (è il mio tasso di cambio, e aggiungo subito che non saprei cosa fare né con l’uno né con le altre, quindi l’esempio è puramente speculativo). Semplicemente, X = M significa che non esiste un mondo nel quale qualcuno ti dà qualcosa per niente. Quale sia il mezzo tecnico del trasferimento di valore fra i soggetti coinvolti (baratto, clic del mouse, promesse, ecc.) semplicemente non è rilevante, cioè non rileva, cioè non ha alcuna importanza, cioè non influisce sul principio di fondo, a meno che non siate memmetari. Ma io non faccio lo psichiatra. Faccio l’economista, e quindi ribadisco: se tu non X, allora tu non M, a meno che tu non accumuli del debito, nel qual caso nel lungo periodo tu esplodi. Certo, se sei gli Stati Uniti rinvii il momento del botto, perché la tua carta la vogliono un po’ tutti. Ma il botto alla fine arriva anche per te (devo fare esempi?).

2) a cosa ci serve formalizzare una cosa così semplice, cioè il fatto che nessuno dà niente per niente? Ci serve eccome! Ci permetterà infatti di vedere in che modo il vincolo esterno condiziona la crescita di un paese (il contributo di Thirlwall è tutto lì).

3) per contentare i “maestraaaaa...”, dico subito che X = M è una condizione sufficiente ma non necessaria per la sostenibilità dei conti esteri. Per il momento ce la teniamo così, poi, se ci sono molti ingengngnieri che fanno domande tecniche, faccio rapidamente un post tecnicissimo per loro così chiarisco il punto. Ma anche questo punto non è enormemente rilevante ai fini dell’argomento.

Con queste tre annotazioni, vorrei spiegarvi cosa fa Tony nel suo articolo del 1979. Dice: se partiamo da una situazione bilanciata, e vogliamo che resti tale, bisognerà che importazioni e esportazioni si sviluppino allo stesso tasso di crescita. Dopo di che, siccome il tasso di crescita delle importazioni dipende da quello del reddito, è chiaro che allora il vincolo esterno vincola la crescita del reddito.

Sviluppiamo il ragionamento in tre passi.

Passo 1: il mantenimento dell’equilibrio richiede che esportazioni ed importazioni crescano alla stessa velocità (tasso di crescita)

Qui invoco la mia musa ispiratrice, ma siccome so che siete de coccio (detto con affetto), fornisco esempio numerico. Supponiamo che le importazioni inizialmente siano 100. Se X = M, saranno 100 anche le esportazioni. Ora, se le importazioni crescessero del 3% e le esportazioni solo del 2% all’anno, l’anno dopo il paese andrebbe in deficit:

X – M = 102 – 103 = - 1

L’equilibrio si mantiene solo se import e export crescono allo stesso ritmo, cioè se:

dove il puntino indica appunto il tasso di crescita delle rispettive variabili.

Passo 2: la crescita delle importazioni dipende da quella del reddito
Ora, vi ricordate come funziona la domanda di importazioni? Dipende dal reddito con una relazione normalmente ad elasticità costante e maggiore di uno. Del concetto di elasticità (rapporto fra due variazioni percentuali) abbiamo parlato diffusamente qui, e della sua misura nella funzione delle importazioni ad esempio qui. Nel presentare il moltiplicatore del modello di a/simmetrie, vi ho fatto vedere che una funzione a elasticità costante è una cosa del tipo:



(se vi leggete il post troverete un esempio con m = 0.004 e p = 2). Se prendiamo i tassi di variazione delle due variabili M e Y, questa relazione diventa semplicemente:

(la costante m scompare, se ne prendi la variazione). Questa, se ci fate caso, non è altro che la definizione di elasticità come rapporto fra variazioni percentuali:

Insomma: se Y aumenta del 2%, M aumenta del 2% moltiplicato per il parametro p greco. Occhio! Tony usa (e dopo di lui in questa letteratura normalmente si usa) p greco come parametro, cioè non come il rapporto che tutti conosciamo dalle medie in poi. Insomma, qui p greco non è 3.14, ma un segnaposto (parametro) che indica un valore da definire caso per caso. Nei modelli econometrici è uso utilizzare le lettere latine per indicare le variabili (reddito, consumo, importazioni...) e quelle greche per indicare i parametri (elasticità delle importazioni al reddito, elasticità delle esportazioni ai prezzi, ecc.). Quanto vale l’elasticità dipende dal paese, ma come abbiamo visto i valori si aggirano intorno a due, dal che consegue che se il reddito cresce del 2%, le importazioni cresceranno del 4%.

Passo 3: quindi il vincolo esterno vincola il tasso di crescita dell’economia
Per vederlo facciamo un passo indietro, e sostituiamo nella condizione di equilibrio della bilancia dei pagamenti presa in tassi di variazione, la funzione delle importazioni in tassi di variazione:

Chiaro il passaggio? Siccome la variazione delle importazioni è p greco per la variazione del PIL, metto quest’ultima nella condizione che uguaglia la variazione delle importazioni a quella delle esportazioni.

Risultato?

Il risultato è che posso risolvere rispetto al tasso di crescita del PIL, ottenendo questa formula:

Che cosa mi fornisce questa formula? Per costruzione, visto che l’abbiamo ottenuta da una condizione di equilibrio di bilancia dei pagamenti, mi fornisce il tasso di crescita compatibile con il vincolo esterno. Cosa intendiamo per compatibile con il vincolo esterno? Che se il tasso effettivo di crescita è superiore a quello definito dalla formula, il paese andrà in deficit estero: il suo reddito “correrà” troppo, ma allora correranno troppo anche le sue importazioni, più di quanto sarebbe necessario per tenerle in equilibrio con le esportazioni, e il paese comincerà ad accumulare debito estero. Naturalmente se il tasso è inferiore a quello definito dalla formula il paese tenderà al surplus: reprimendo la domanda interna, tenderà a diventare creditore netto (vi ricorda qualcuno)?

Può un paese scostarsi a lungo dal tasso di crescita compatibile con l’equilibrio esterno?

No.

Se si scosta verso l’alto (e potrebbe farlo ad esempio nelle fasi iniziali del ciclo di Frenkel) si indebita, ma poi alla fine va in crisi, entra in recessione, e la crescita eccessiva iniziale fa media con la recessione finale, restituendo qualcosa di vicino in media al tasso di crescita compatibile con l’equilibrio esterno.

Va un po’ meglio a chi si scosta verso il basso, perché diventa creditore netto, situazione più comoda. C’è un’asimmetria. Il discorso ovviamente è complicato (e la letteratura sulla “legge di Thirlwall”, come viene definita la relazione che vi ho mostrato, sterminata). Diciamo che il tasso “compatibile con l’equilibrio esterno”, ovvero “vincolato dalla bilancia dei pagamenti”, è quanto meno un limite superiore per il tasso di crescita effettivo.

Verifichiamo
Ma il vincolo esterno è effettivamente tale? In altre parole: la necessità di non importare troppo per evitare di incorrere in sbilanci esteri, e quindi la necessità di non crescere troppo in fretta, vincola effettivamente la crescita dei paesi?

La risposta è sì, e lo si vede se si confrontano i tassi di crescita di lungo periodo dei vari paesi con il vincolo esterno definito dalla legge di Thirlwall (cioè con il loro tasso di crescita vincolato).

Esiste una letteratura sterminata in proposito, ma possiamo fare anche noi una rapida verifica alla boia d’un Giuda prendendo i soliti dati del Fmi e calcolando l’elasticità al reddito delle importazioni come abbiamo fatto in questo post, cioè come rapporto fra il tasso di crescita delle importazioni e quello del reddito. Tenete presente che la versione del modello che stiamo considerando è ipersemplificata (non tiene conto della dipendenza di esportazioni e importazioni dal tasso di cambio reale), e che le stime sono fatte veramente con la mano sinistra. Ciononostante, prendendo tutti i paesi per i quali il World Economic Outlook presenta i dati, il calcolo sommario che vi ho descritto fornisce una cosa di questo tipo




Ci sarebbero lunghi commenti da fare. Per gli espertoni: la retta a 45° è quella lungo la quale tasso vincolato ed effettivo coincidono. Noterete che ci sono molti punti al disotto (tasso effettivo inferiore a quello vincolato). Ci sono anche punti che danno valori francamente assurdi (tassi di crescita vincolati a due cifre, oltre il 40% l’anno). Ma questi outlier (paesi che giacciono fuori – lie out – dalla retta) sono tutti paesi molto particolari: tutti piccolissimi (quindi con una certa volatilità dei flussi commerciali), alcuni con petrolio, alcuni con guerre, molti con entrambe:  Bahrain, Bosnia and Herzegovina, Cambodia, Dominican Republic, Equatorial Guinea, The Gambia, Guinea-Bissau, Kosovo, Myanmar. In questi 9 paesi il tasso di crescita vincolato risulta superiore a 10 punti percentuali (e in alcuni di questi lo è stato anche quello effettivo: penso in particolare alla Guinea Equatoriale, la cui performance spettacolare però è ben poco significativa, come sicuramente alcuni di voi sapranno – e lo diranno agli altri!). Se togliamo questi 9 paesi decisamente anomali e ci teniamo gli altri, dove comunque c’è di tutto, dalla Danimarca all’Iran, dall’India all’Ecuador, dalla Nuova Zelanda alla Romania), la capacità esplicativa del modello praticamente raddoppia: ora il tasso vincolato spiega il 56% della variabilità fra paesi dei tassi di crescita.



Poveri libberisti...
Apro e chiudo una parentesi per segnalare che questo risultato non solo è molto robusto, ma è anche dirompente per il modello di crescita preferito dai nostri amici libberisti. In quel modello la differenza fra i tassi di crescita dei paesi è spiegata dal livello iniziale del reddito (in base all’ipotesi che in paesi più arretrati il capitale è più produttivo e quindi la crescita sarà più rapida: è il famoso catch-up, che non è il ketchup). La relazione quindi dovrebbe essere negativa: a condizioni iniziali pietose dovrebbe corrispondere crescita folgorante, e viceversa. Tuttavia questo modello, basato sul modello di Solow, non sempre funziona bene come quello di Thirlwall. Se prendiamo gli stessi dati che abbiamo utilizzato per verificare la legge di Thirlwall, viene fuori sullo stesso campione una cosa simile:



Attenzione: in questo caso la relazione è negativa e deve esserlo: i paesi più a sinistra (con reddito iniziale minore) in teoria devono essere più in alto (crescita media nel lungo periodo superiore). Tuttavia qui, dopo aver tolto una quarantina di paesi anomali (i 9 sopra, più altri per i quali per qualche motivo mancava il livello iniziale di reddito) il massimo che si riesce a ottenere è che il modello spieghi l’11% della variabilità internazionale dei tassi di crescita.

Consci di questo fatto, neoclassici e neokeynesiani il modello di Thirlwall preferiscono ignorarlo. I neoclassici, per migliorare le cose, a partire dagli studi di Barro e di Mankiw et al. inseriscono una serie di altre variabili che “condizionano” la crescita e quindi spiegano la differenza nei percorsi di recupero dei vari paesi: il capitale umano, il livello degli investimenti, la spesa pubblica (messa in tutte le salse fino a quando non esce con coefficiente negativo), l’accesso al mare, il frazionamento etnico, lo scontrino della lavanderia, qualsiasi cosa, insomma, pur di non mettere il commercio estero. Se viene messo, il commercio viene messo come “grado di apertura” (openness): la somma di export e import, il tutto diviso per il Pil. Sì, proprio così: quindi un paese che esporta 50 e importa zero, con un Pil di 100, conta come un paese che esporta zero e importa 50 (se il Pil è 100 anche in questo caso). Ovviamente il primo paese non salterà per aria e il secondo sì, ma questo ai neoclassici non sembra interessare molto. Il fatto è che se si inserisce questa variabile insensata, essa normalmente ha un segno positivo (“ah, vedi, allora liberalizzare il commercio aiuta la crescita: orsù, si liberalizzi, libberismo, libberismo!”), ma lascia più o meno invariata la significatività statistica delle altre variabili “offertiste” (investimenti, spesapubblicabrutto, ecc.), per cui il modello non salta.

Ma se provi a metterci il tasso di crescita vincolato, come esplicativa, regolarmente quello si “mangia” completamente le altre variabili, il cui contributo alla spiegazione della crescita effettiva piomba a zero. 

Divertente, ma non per i neoclassici...

E nota: se spieghi la crescita del prodotto con la crescita delle esportazioni sic et simpliciter, anziché con il vincolo esterno (cioè se non dividi la crescita delle esportazioni per l’elasticità delle importazioni al reddito), la relazione che ottieni è molto meno forte:


Insomma, non basta considerare quanto si esporta. Bisogna anche considerare quanto si dipende dall’estero.

Approfondiamo questo punto.

Significato economico
La relazione c’è, i dati la supportano. Proviamo a interpretarla. Intanto abbiamo visto che il tipo di arrangiamento monetario sottostante ha poco a che vedere con il vincolo. Il vincolo ha natura reale (da res, rei), non monetaria: dipende dalla necessità, se vuoi una cosa, di darne via un’altra (fosse anche la tua forza lavoro). Ripeto: come questo scambio venga mediato non ha particolare rilevanza. Può anche essere mediato dal credito: ma il credito non fa che spostare nel tempo la necessità di reperire le risorse per effettuare un pagamento. È il suo bello (se le risorse riesci a reperirle) ma anche il suo brutto (se non riesci a reperirle: citofonare Trippas). Viceversa, i parametri chiave del vincolo esterno sono due, e sono entrambi “reali” (riferiti a grandezze non monetaria) e “strutturali”: il tasso di crescita delle esportazioni in termini reali (cioè la crescita del volume di beni venduti all’estero), e l’elasticità delle importazioni al reddito.

La crescita delle esportazioni è al numeratore (sta “sopra”: proporzionalità diretta), il che significa che più esporti, e più puoi permetterti di crescere. Non è detto che tu lo faccia. Potresti farlo senza fallire (per colpa del debito estero). Ma potresti non volerlo fare perché vuoi far fallire gli altri (citofonare Merkel): in questo caso, reprimerai la domanda interna, cioè non distribuirai la giusta mercede ai tuoi operai, Dio si incazzerà un pochino, ma tanto a pagare gli operai e a morire c’è sempre tempo, e nel frattempo la tua crescita sarà inferiore al massimo potenziale. Questa cosa è importante da capire (ed è anche fonte di infinite disquisizioni teologiche che vi risparmio, e che in effetti sarebbero il mio vero lavoro, fra gli economisti post-keynesiani). Il modello di Thirlwall non è, come qualcuno tende a banalizzarlo, un modello di crescita export-led (guidata dalle esportazioni). Non dice esattamente che le esportazioni causano la crescita. Dice che le esportazioni vincolano la crescita. Non dice che se esporti molti crescerai molti. Dice che se esporti poco e cresci molto poi fallisci (perché hai anche importato molto, ma esportando poco non avevi le risorse per farlo). In questo senso il modello è asimmetrico. Se volete, si può usare la classica metafora della corda, quella che si usa per la politica monetaria: anche le esportazioni sono una corda, nel senso che secondo la logica del modello non puoi usarle per “spingere” la crescita, ma se non ne hai abbastanza ti tengono la crescita col guinzaglio a strozzo (e gli strozzini si sa chi sono: i famosi mercati).

Al denominatore (cioè sotto: proporzionalità inversa) c’è invece l’elasticità delle importazioni al reddito. Cosa esprime p greco? Esprime la dipendenza strutturale di un paese dai beni e servizi prodotti all’estero. Se l’elasticità è alta, questo significa che quando i residenti si trovano qualche soldino in tasca, le importazioni del paese crescono in modo più che proporzionale. Ricordate? È un fatto stilizzato che questa elasticità sia in media intorno a due. Nel campione di 177 paesi che abbiamo considerato l’elasticità media (calcolata alla boia d’un Giuda come v’ho detto) è pari a 1.68 e la mediana a 1.73. Se arrotondi all’intero più vicino ti dà 2. Diciamo quindi che se il reddito aumenta dell’1%, le importazioni aumentano di una cosa che potrebbe essere 1.5%, 2%, 3%... Insomma, normalmente in questo ordine di grandezza.  Bene: una elasticità più alta significa che quando il reddito aumenta ci si rivolge in misura proporzionalmente maggiore a prodotti esteri, cioè che l’economia considerata è particolarmente dipendente dall’estero, perché non è in grado di produrre quei beni (di consumo o strumentali) o quei servizi (ad esempio di trasporto, finanziari, ecc.) dei quali ha bisogno per sostenere la sua maggiore crescita. Ma se le cose stanno così, allora è evidente che questa economia, proprio in quanto dipende più di altre dai prodotti esteri, a parità di esportazioni potrà permettersi meno delle altre di crescere (perché la maggior crescita le alza proporzionalmente di più il conto da pagare per saldare le importazioni).

Il significato economico quindi è piuttosto ovvio. Il modello può essere complicato ad libitum. La versione che sviluppo nell’ultimo lavoro è questa:



ma ne parliamo un’altra volta.

Perché laggente non capiscono il vincolo esterno?
Se siete arrivati fin qui con le ossa sane, vi porrete anche voi la domanda che mi pongo io. Se compri qualcosa, o prima, o poi, o cash, o a credito, l’hai da paga’, altrimenti passi un guaio. Questo è il vincolo esterno. Nasce con l’uomo, e con l’uomo morirà (quindi è eterno, stante la nostra simpatica abitudine di erigerci a metro del cosmo)! Non si capisce proprio come qualcuno possa pensare che un qualche regime monetario, e in particolare l’adozione della moneta unica, avrebbe mai potuto abolirlo, questo vincolo esterno. Quando qualcuno pensa e dice una cosa così strampalata porto la mano alla fondina (e faccio anche un paio di altre cosette), perché se, di fatto, teorizzi la sòla (la fregatura, il comprare senza pagare), allora è molto probabile che tu sia un sòla, o almeno un Solone.

Se permettete, mi risparmio i memmetari, e insisto invece su due versioni “ortodosse” di questa simpatica fola, della storia dell’albero della cuccagna: quella dei tre porcellini, di cui abbiamo già parlato, e quella del prof. Rodano. Vorrei farne con voi un’analisi semantica per capire dov’è che si nasconde la magagna.
I tre porcellini (Pisani-Ferry, Gros e Emerson), da economisti di grande rango e visibilità internazionale, sono dovuti venire a patti con la realtà. Quando erano pagati per dire che la moneta unica avrebbe funzionato, il loro studio elencava ben 16 meccanismi attraverso i quali questo sarebbe successo (è difficile capire una cosa se il tuo stipendio dipende dal non capirla, ma è anche semplice dimostrare una cosa se il tuo stipendio dipende dal dimostrarla). Quello che ci riguarda qui, e che ha a che fare con il vincolo esterno,  è il 14, esposto a pag. 24 dello studio, nel paragrafetto intitolato (traduco): “Saranno disponibili flussi finanziari per assorbire gli shock (meccanismo 14)”, paragrafetto il quale recita: “Fra gli effetti principali dell’Unione Monetaria ci sarà quello di far scomparire il vincolo della bilancia dei pagamenti nel modo in cui viene sperimentato nelle relazioni internazionali”. Voi, che ormai siete esperti di vincolo, avrete capito che questo significa: potrete comprare a credito senza avere problemi. E infatti il paragrafetto prosegue: “i mercati privati finanzieranno qualsiasi debitore affidabile e il saldi fra risparmio e investimento non saranno più vincolati a livello nazionale”. E qui, se vi ricordate il post sulla Grecia, capirete che i nostri amichetti ci stavano dicendo che sarebbe stato possibile indebitarsi con l’estero senza limiti. In termini analitici (leggetevi il post sulla Grecia se non lo avete fatto: leggetelo, e rileggetelo) è infatti contabilmente sempre vero che:

X – M = S – I

Quindi dire che il saldo fra risparmio e investimento “non sarebbe stato vincolato a livello nazionale”, cioè che un paese non sarebbe più stato tenuto a finanziare i propri investimenti con il proprio risparmio, equivale a dire che il vincolo esterno non avrebbe più vincolato le singole economie nazionali, cioè che non sarebbe più stato necessario finanziare le proprie importazioni con le proprie esportazioni.

Nel mondo in cui S<I (il risparmio nazionale è minore degli investimenti, che quindi sono finanziati ricorrendo al capitale estero), necessariamente è anche X<M (le esportazioni sono minori delle importazioni, che quindi sono finanziate con credito estero). Guardate che le due cose possono largamente coincidere, non solo in termini contabili. Pensate ad esempio a un imprenditore che compra un bene strumentale all’estero facendo un mutuo con una banca estera o collocando un bond all’estero: avete un investimento (acquisto di bene strumentale), una importazione (perché il bene viene dall’estero) e naturalmente un incremento del debito estero. In questo caso le tre cose coincidono, ma non è necessario che la relazione sia immediata e coincidente: può anche essere mediata dall’azione di più operatori (l’imprenditore compra il bene strumentale in Italia ma il produttore compra componenti o materie prime all’estero, ecc.).

E come sarebbe stato possibile svincolare S da I o X da M? Ma ve l’ho detto tante volte (al mid-term goofy dell’anno scorso, in L’Italia può farcela, ecc.): perché S. Mercato Privato avrebbe dato i soldi a tutti e soli quelli che ne avrebbero avuto bisogno ed erano in condizioni di restituirli.

Purtroppissimo non è andata così, però.

Peccato, ve’?

Chi se lo sarebbe aspettato.

Mannaggia, che sfiga. Però più Europa, eh, mi raccomando, sennò chi li sente i Wu Minkià, che di questa Europa sono degni aedi!

Ora, chi ha scritto queste parole leggere non poteva non giustificarsi, soprattutto considerando che lo aveva evidentemente fatto per motivi venali e in palese conflitto di interessi. La toppa però è peggiore del buco, come capita quando la scemenza detta è troppo grossa:

In particolare, l’atteggiamento “non potevamo sapere” (nel paper c’è anche “eseguivamo gli ordini”) fa un po’ specie, perché che l’Unione Monetaria non avrebbe abolito il vincolo esterno era stato detto sul Financial Times indovinate un po’ da chi? Ma certo! Da Tony nel 1991, come noi sappiamo dal 2012 grazie a me (e a Tony che mi ha mandato il ritaglio del Financial Times), e Pisani-Ferry, guarda un po’, non sapeva nel 1991 (perché quell’anno l’abbonamento gli era scaduto e non lo aveva rinnovato, sai com’è, a Bruxelles la vita costa cara, devi pur fare qualche sacrificio per essere economista della Commissione...).  L’articolo di Tony era già cristallino senza passare per l’apparato analitico (che Tony aveva pubblicato 12 anni prima), ma suppongo che dopo la lezzioncina di oggi vi sarà ancora più perspicuo. Del resto, può essere interessante sapere che la legge di Thirlwall nasce in economia regionale: la prima applicazione è l’articolo di Dixon e Thirlwall  (1975) sui differenziali di crescita fra regioni di un medesimo Stato. Vi sto dicendo quello che avete capito: cioè che Pisani-Ferry nel 1991 diceva che con la moneta unica gli stati membri sarebbero diventati come regioni di un singolo Stato, e che Dixon e Thirlwall 16 anni prima avevano dimostrato sugli Oxford Economic Papers che il vincolo esterno vale anche fra regioni di un medesimo Stato (non sul rotolo della carta del cesso, Dio santo! Su una rivista che piace perfino al comitato politico di FARE, l’ANVUR!). Quindi dire che gli Stati sarebbero diventati regioni equivaleva a dire che un ammalato di cancro sarebbe diventato un ammalato di tumore. Il nulla vestito da diagnosi.

Non è poi strano che il vincolo esterno condizioni anche la crescita regionale, in fondo. Il motivo è il solito: non importa il mezzo di pagamento, in qualche modo se importi “troppo” pagherai. Il Sud dell’Italia, ad esempio, ha pagato in uomini, no? Cos’è l’emigrazione massiccia sperimentata dal Sud se non la risposta a una elevata dipendenza strutturale dal resto del paese? (Dipendenza alla quale non siamo ancora riusciti ad ovviare, peraltro, o comunque non con i trasferimenti pubblici). Succede così: il recupero di competitività passa per la deflazione salariale (le “gabbie”, qui da noi), con tutto quello che ne consegue (crollo della domanda regionale, disoccupazione, emigrazione). E non vediamo oggi lo stesso meccanismo all’opera in Spagna e Grecia (ma anche Lettonia o Bulgaria)?

Bene: Pisani-Ferry lo vede nel 2015. Tony nel 1975. Solo quarant’anni prima, ma Pisani-Ferry appartiene al mondo di quelli che hanno tempo, come i Wu Minkià o er Barbetta o il Fognatore o er Nutella ecc.

Quanti ne abbiamo visti passare...

Peraltro, prima di intonare la litania “mercatobbrutto”, sarebbe bene che l’intellettuale sentimentaloide di sinistra, che tifando euro tifa mercati, capisse che i mercati per i quali lui tifa senza rendersene conto non sono “cattivi”, come lui li dipinge nelle sue stucchevoli oleografie buoniste. Semplicemente, i mercati finanziari non sono (e non sono tenuti ad essere) la soluzione di problemi di dipendenza strutturale da beni esteri. Non sono lì per quello. La loro ottica, fra l’altro, è quella di breve periodo propria di tutti gli operatori privati (e anche di molti governi, va detto). Ne abbiamo parlato a lungo qui (un esempio). Quindi come si fa a pensare di devolvere ad essi, nella loro comprovata fallibilità, la soluzione di problemi di dipendenza strutturale? (Il vincolo esterno, lo abbiamo visto, è un vincolo reale e strutturale, non un vincolo temporaneo e di liquidità). Fra il sentimentalismo “de sinistra” e “l’ottimismo della sragione” dei bruxellocrati, chi c’è andato di mezzo lo sapete.

Addavenì Caligola...

Ma occupiamoci di Rodano, il quale, avendo minori responsabilità e considerandosi (ce lo ha detto lui con una certa civetteria) un pensionato, per hobby scrive cose come queste:


Che devi dire se non: “Vabbè...”. Ma insomma, Giorgio caro: non solo questa cosa non funziona, perché non è vero, in tutta evidenza, quello che dici in nota:


No, non è solo questo! Il vero problema è che tu, da pensionato e quindi scusabile se poco al corrente dei recenti sviluppi, per pura sfiga (e me ne spiaccio per te) vieni a dire una cosa simile proprio nel momento in cui, come ho appena fatto vedere, i colleghi poco scrupolosi e molto venali che l’hanno affermata per farci imboccare nella simpatica trappola nella quale siamo ritrattano, dicono che “non potevano sapere”, cioè preferiscono passare per degli incompetenti che non leggevano né il Financial Times né gli Oxford Economic Papers, pur di non prendersi la responsabilità di quella affermazione che tu, così, a cuor leggero, e con un tuo tutto particolare senso dell’opportunità, vieni a proporci oggi, quando essa si manifesta palesemente falsa!

Ussignùr...

Spectacularly ill-timed: cosa altro dire?

L’argomento secondo il quale siccome paghi Eurozona su Eurozona non esaurisci le riserve di dollari è un argomento fasullo, per il semplice motivo (che anche l’ultimo dei miei lettori capisce e potrà spiegarti if needed) che se in Italia non c’è la rotativa dei dollari, bè, non c’è nemmeno quella degli euro. Lo ha spiegato De Grauwe. Quindi il fatto che apparentemente non ci sia un drenaggio di risorse (la valuta pregiata) a fronte di un eccesso di importazioni intra-zona è ingannevole. Il problema esiste: è una tonnellata di polvere sotto il tappeto: prende la forma di quei crediti privati dei quali qui tante volte e prima di tanti abbiamo parlato, e che, come l’ultimo dei miei lettori sa, sono la vera causa dei nostri squilibri.

La verità è un’altra: magari dovessimo ancora pagare le importazioni dalla Germania in valuta forte! Questo avrebbe messo un ovvio meccanismo di stop loss alla crisi: a riserve finite, si svaluta, come in 177 altri paesi al mondo, e c’è un fresh start, dopo che i creditori hanno assorbito la perdita causata loro dal loro comportamento imprudente (ma non ci commuoviamo troppo: sanno loro perché l’hanno fatto, e vedrai che gli è convenuto...).

Concludendo
Dai, che fra un po’ ci sono gli exit poll...

Era molto tempo che volevo spiegarvi questa cosa, dalla quale discendono una marea di altre cosucce interessanti (ad esempio, l’impatto sulla crescita del tasso di cambio reale, ecc.). La carne al fuoco era tanta, ma vi lascerò il tempo per digerirla. Devo chiudere un altro lavoro. Voi intanto se avete dubbi chiedete, e io, se avrò tempo, risponderò. Ma non fate domande delle quali la risposta p nei link. Se siamo qui pochi ma ottimi è perché non siamo qui per divertirci: capire è sempre faticoso, e di questi tempi, poi, è anche sgradevole. Scendere di un altro girone nell’orrore di One market, one money, pensare quanti morti ha causato quello studio, e su quali premesse analitiche inconsistenti era fondato (tanto che chi lo ha fatto sente oggi il bisogno di scusarsi: vi rendete conto?), è cosa che dà le vertigini.

Ma come voi condividete con me lo spossamento e l’orrore, così io li condivido con voi.




(...solo una cosa ai colleghi che arrivano adesso nel dibattito: se finora avete preferito ignorarlo, sapete voi perché lo avete fatto. Ma se ora, per motivi che ignoro, volete entrarci, studiate! Lascio valutare a chi ha letto questo post se una persona che nel suo articolo sull'euro non cita lavori fondamentali come Dixon e Thirlwall (1975), Pisani-Ferri (2013), Fernandez-Villaverde et al. (2013), Constancio (2013), e tanti altri, possa permettersi, senza suscitare un franco scoppio di ilarità, questo genere di affermazioni:





E questo elogio delle proprie competenze prima di presentare una rassegna della teoria delle aree valutarie ottimali che sarebbe andata forse bene negli anni '80!... Il testo, queste competenze, non le dimostra, e ovviamente ne parlerò in dettaglio e nelle sedi competenti, quindi prima di dare del semplificatore o dell'incompetente ad altri (sempre senza avere il coraggio di farlo in faccia, va da sé: avreste dovuto vedere la faccia di Rodano quando s'è accorto che ero fra il pubblico del suo seminario!), buon senso vorrebbe che ci si interrogasse su se stessi, che si facesse, che so, almeno una ricerca bibliografica elementare...

Forse non vi è chiaro: da qui dovete passare, cari tromboni pensionati!

La sinistra "intellettuale" che vuole rifarsi una verginità intervenendo con il consueto tono da "padre nobile" lascia francamente sconcertati. Avete appoggiato senza se (e anche senza sé) e senza ma un progetto di deflazione salariale perché ritenevate che avrebbe tutelato il valore delle vostre pensioncine. Questa è la vostra political economy (ho detto political economy, non mi sono pronunciato sulla correttezza e coscienziosità professionale), e pensate che non si veda? Il lavoro di Rodano cita quattro fonti: Bagnai, Biasco, Bootle e Sapir, delle quali le ultime due sono citazioni di seconda mano dal mio libro (è evidente che Rodano non ha letto Bootle, tutta la sua discussione dei costi dell'uscita lo dimostra), e quello di Biasco è il lamento di un altro pensionato, con zero - 0 - fonti scientifiche. Discorsi da bar fatti da personaggi che bastano a se stessi, che ritengono di essere giganti al cospetto di nani, che probabilmente tratterebbero con lo stesso tono patronising Stiglitz o Meade o Kaldor o Thirlwall. E questi qui, questa roba qui, si permette di parlare delle "semplificazioni" dei social media, nel presentare un loro paper su un problema così complesso, dove di fatto viene citato un solo lavoro scientifico: il mio?

Capite bene che la sinistra dovrà fare scelte dolorose, perché con un supporto intellettuale di questo genere non va da nessuna parte...)

Et divites dimisit inanes (Cercis siliquastrum)

questa è l'acqua  ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Le pensioni della Grecia": 

Carissimo Prof. Bagnai, prima di tutto: grazie, grazie mille volte per tutto quello che ho capito grazie a lei. Le cose che hanno cambiato la mia vita in questi ultimi due anni: l'acquisto di un tablet , aver incominciato a leggere questo blog e twitter tutti i santi giorni, aver letto i suoi libri e Anschluss del Prof. Giacche', non guardare piu' la tv (gia' la vedevo poco). Sono una donna di 60 anni, ho incominciato a lavorare a 15 anni e, causa legge Fornero, mi mancano 2 anni alla pensione. Scrivo queste poche informazioni su di me solo per far capire che non avendo studiato, a scuola, si fatica di piu'a seguire tutto. E' necessario cercare i termini che non si capiscono, tradurre come si puo' da latino o inglese ecc. Quindi mi chiedo: come fanno tutte quelle persone che ha bloccato, sicuramente piu' colte e intelligenti di me, a non capire quanto siano inutili tutte quelle discussioni? Mi ci e' voluto molto coraggio per scriverle, non so nemmeno se arrivera', spero di aver fatto tutto giusto. Ho sempre usato il pensiero e letto molti libri, ma se hai dei limiti a volte sbatti contro un muro e non fai passi avanti ed e' per questo che si ha bisogno di persone come lei per aprire le porte giuste che fanno avanzare il pensiero. Aggiungo due note su di me che penso le faranno piacere. Mio marito e' un fantastico pianista jazz, insegnante di pianoforte in pensione. Viviamo in Piemonte, abbiamo una piccola vigna e facciamo il vino. 
Il nostro vino e' aspro e sincero, come Lei.


Postato da questa ė l'acqua in  Goofynomics alle 
31 maggio 2015 15:30




(...carissima, grazie. Per aiutarti a risolvere il mistero, ti chiedo un altro sforzo di traduzione: colto non significa erudito, e nessuno dei due significa intelligente. Tu, poi, hai solo cercato di vivere una vita normale e non hai tradito nessuno, come er Barbetta, o il Fognatore, o tanti altri che ingorgheranno presto il sifone della SStoria. Per questo ti è stato possibile capire: perché non avevi nessun interesse a non farlo. Il che non significa che non ti vada riconosciuto un merito. Per i traditori la nostra tradizione cristiana suggerisce una ricetta semplice ed efficace: lasciarli liberi. Ci siamo capiti. Tieni duro, fra un po' sarà peggio...)


sabato 30 maggio 2015

Le pensioni della Grecia

Qualcosa mi dice che domattina potrei sentire delle imprecisioni razziste sulla Grecia (magari da un greco, perché ce ne son parecchi con la sindrome di Stoccolma). Allora, tanto per, faccio un breve addendum al fact checking sulla Grecia (ricordandovi quello più conciso di Vladimiro Giacché): Matthew Dalton del Wall Street Journal (un giornale non sospettabile di eccessiva indulgenza verso la spesa pubblica) ha chiarito che il sistema pensionistico greco non è generoso come ci si vuol far credere. Se invece che al PIL la spesa pensionistica viene rapportata al numero di anziani, la Grecia, dalla testa di serie, passa sotto la media europea, e perfino sotto la virtuosa Germania (posto che sia una virtù esportare gli anziani anziché remunerarli per il loro lavoro). Il punto è che il 20% dei greci sono over 65: è uno dei paesi con il maggior numero di anziani. Certo, la Grecia dovrebbe razionalizzare il suo sistema pensionistico, ci ricorda il giudizioso giornalista: ci sono 133 gestioni separate. Ma le cifre non indicano grandi sperperi.

Vi rendete conto di cosa significhi in un paese di persone anziane una simile inversione di tendenza della spesa sanitaria?

Questo sarebbe il paese che non ha fatto le riforme, secondo Riccardo Puglisi.

I greci sono 11 milioni. 2000 dollari di spesa sanitaria a testa fanno una ventina di miliardi di euro. Sapete quanto è arrivato allo HFSF (Hellenic Financial Stability Fund) attraverso i vari fondi salvastati, allo scopo di iniettare liquidità nel sistema bancario greco (per salvarne i creditori, cioè la banche francesi e tedesche)? Cinquanta miliardi, dei quali 15 completamente persi (perché usati per ricapitalizzare banche decotte prima di venderle alle banche "sistemiche" che lo HFSF cerca di tenere in vita). Naturalmente sono questi movimenti via "fondi di stabilità" che spiegano la nota infografica del Sole 24 Ore (qui l'articolo di Morya Longo che spiega come i tedeschi si sono salvati a spese nostre), ma anche il grafico che avevamo pubblicato qui, e dal quale si vedeva bene come le banche tedesche e francesi prima avessero prestato cifre spropositate alla Grecia, salvo poi farsele restituire da tutti i membri della bella famiglia europea (cioè noi).

Il rischio dei debitori sovrani, in Europa, non si mutualizza. Quello dei creditori privati sì, ma solo se sono tedeschi o francesi.

E siccome questa operazione è veramente troppo sporca, al punto che perfino il Sole 24 Ore non può nasconderla, per cercare di uscirne con la testa alta si calunniano le vittime, secondo il meccanismo che già funzionò tanto bene con gli Ossis, come ci spiega Giacché nel suo libro.

Così è se vi pare, cioè se volete l'euro. Contenti voi...

venerdì 29 maggio 2015

Comunicazzione di servizzio



"Bagnai leghist... No, aspetta: contrordine compagni: Bagnai sellinooooooo!"

E l'ellisse si chiude.

Che tristezza i wuminkià!

Sono invece lieto di rivedere Valerio (Alessandro e Gianni li vedo più spesso, soprattutto il primo), e di conoscere Sardoni, del quale alcuni studenti mi hanno parlato in termini umanamente e didatticamente molto positivi.

Già mi pregusto le contorsioni logiche con le quali avendo lui prima della crisi capito esattamente qual era il problema (di fatto arrivando molto prima di me alle conclusioni alle quali io sono arrivato molto dopo: la flessibilità come condizione necessaria ma non sufficiente), per onore di bandiera verrà a difendere il regime che SEL per ora appoggia, dicendo che "un altro euro è possibile", che "la colpa è dell'austerità", e che c'è stata una grande moria delle vacche.

Tutto comprendere è tutto perdonare, ed è anche un po' rompersi i coglioni.

Ma cosa non si fa per gli amici!

(...se poi invece ritenesse di stare decisis, allora magari lo invitiamo al Goofy...)